Putin e il neozarismo |
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Sergio Canciani
DAL TESTO – "Ma non per tutta l'Ucraina Europa e America sono l'agognata meta. Nei distretti minerari e siderurgici del Don, dove si parla e si pensa in russo, le frananti imitazioni di Cleveland e di Detroit sono il prodotto delle pjatiletke, i Piani quinquennali dell'industrializzazione forzata che, in un mondo di contadini martirizzati perché odiati da Stalin e dai suoi ideologi come nemici di classe, hanno portato un minimo di benessere e di modernizzazione tecnologica che tuttora persiste, seppur piegata dall'obsolescenza e dall'ipersfruttamento per mano dei nuovi padroni, tutti o quasi ex «cekisti» (uomini del Kgb) della «cerchia interna» di Putin. Sono quelli finiti nelle liste nere degli infrequentabili insieme agli oligarchi più compromessi (che nel frattempo avrebbero fatto sparire dalla Russia un bottino di 530 miliardi di dollari, il 20 per cento del Pil nazionale). Più che degli interessi economici che si sono spostati sulla finanza globalizzata e sugli idrocarburi, questi territori tra il Dnepr, la Crimea e la frontiera russa rappresentano il baluardo invalicabile della nuova dottrina neo-imperiale. Tutto può essere discusso, al limite modificato con il consenso delle parti (come alcuni non escludono possa accadere per l'Ucraina carpatica) ma non il vicinato prossimo della Russia eurasiatica che corrisponde al suo spazio di sicurezza strategica. Sulle carte dei generali russi almeno due terzi dell'Ucraina sono segnati con gli stessi colori dell'Urss, un'immensa macchia monocroma che si espande da Kaliningrad sul Baltico (l'antica e nobile città dei Cavalieri Teutonici e di Immanuel Kant) alla penisola della Kamčatka, terra di vulcani e di gulag, lontana diecimila chilometri dal centro, dove non si percepisce molto il fiato dell'immenso apparato statale russo ma si intravedono, nelle rare giornate limpide, le coste americane dell'Alaska. A Mosca, nel palazzone gotico-staliniano sulla piazza Smolenskaja, sede del ministero degli Esteri, i funzionari della nouvelle vague di Sergej Lavrov, letti i dispacci del dipartimento di Stato, esercitano il sarcasmo. Meglio della dottrina di John Kerry sulle sanzioni (che non hanno funzionato in nessun luogo) e della sospensione o addirittura espulsione della Russia dal G8 - dicono - è la dottrina dell'Ikea ovvero Cash and Carry: metti nel carrello, paga e porta via. Compra il gas, mettilo nei tubi e onora i contratti. La diplomazia seguirà. Il resto suona un po' velleitario. Proprio accanto a casa nostra, molto recentemente tutto questo meccanismo, compresi i referendum populistici e dall'esito scontato viste le forze in campo, era stato attivato con costi enormi e profluvio di demagogia per sedare la rissa balcanica. Con il risultato che dalla Bosnia al Kosovo alla Macedonia i piromani sono tornati all'opera, sotto il naso di volenterose missioni europee. Il focolaio ucraino, con tutto il suo carico di frustrazioni, odio e arsenali è appena al di là dei Monti Carpazi, l'eterna linea di frattura tra Europa-Europa ed Europa-Asia." L'AUTORE – Sergio Canciani, storico corrispondente del Tg1, è il giornalista italiano che più ha seguito le vicende russe dell'ultimo ventennio, segnato in buona parte dall'affermarsi del «neozarismo» di Putin. È stato per tredici anni a capo dell'ufficio di corrispondenza Rai di Mosca. Dalla Russia, dove ha vissuto fino al 2011, ha realizzato oltre settemila servizi. Per Castelvecchi ha scritto nel 2012 Roulette Russia. INDICE DELL'OPERA – Ritorno in Crimea - Arcipelago Russia - Putin il neozarista - Vecchi amici e nemici - Annus Domini – Apokalipsa - L'oro di Mosca - Lavori in corsa! - Se Lenin sapesse... - Tesori nascosti - L'avvenire |