È un enigma, questo. La filosofia di Moby Dick Stampa

Massimo Donà

È un enigma, questo
La filosofia di Moby Dick


Edizioni ETS, pagg.164, € 16,90

 

donà mobydick  Massimo Donà, filosofo e musicista jazz, in questo agile saggio ci invita a una rilettura filosofica di "Moby Dick" di Herman Melvilleuno, uno dei più straordinari capolavori della letteratura mondiale. Il libro non si limita a un'interpretazione tradizionale del capolavoro melvilliano, ma si spinge oltre, esplorando le sue implicazioni metafisiche e teologiche con una lente che oscilla tra il concetto e la narrazione, tra filosofia e letteratura. Il volume si configura come una meditazione intensa sulle forze invisibili che animano la trama e i personaggi, e si inserisce nel più ampio contesto della filosofia occidentale, rendendo l'opera di Melville un campo fertile per il pensiero metafisico.

  Fin dalle prime pagine, Donà delinea la sua lettura, incentrata sulla figura enigmatica di Achab, il capitano della Pequod. Achab, secondo Donà, non è solo il protagonista di una tragica e ossessiva caccia alla balena bianca, ma rappresenta una figura metafisica di grandissima portata, che si colloca in una tradizione che affonda le sue radici nelle più antiche riflessioni occidentali sulla dualità e sull'opposizione assoluta. In questo senso, "Moby Dick" diventa il palcoscenico di una lotta cosmica tra l'essere e il nulla, tra la conoscenza e l'ignoranza, un confronto che si ripercuote nelle questioni più profonde della filosofia, come la distinzione tra bene e male, il peccato originale e la ricerca dell'assoluto.

  Donà esplora la trama attraverso un'ottica metafisica che trascende la dimensione strettamente narrativa del romanzo. Achab, per l'autore, diventa una sorta di "novello Adamo", un individuo che cerca di penetrare i misteri dell'esistenza e di comprendere il senso ultimo dell'opposizione ontologica che contrappone l'essere al nulla. Il suo percorso, destinato a condurlo verso una fine tragica e catastrofica, si configura come un tentativo disperato di ottenere una conoscenza assoluta, che però risulta irraggiungibile e pericolosa.

  La filosofia di Donà gioca con le potenzialità dell'opera, rivelando come "Moby Dick" riscriva, in chiave moderna, la tradizione metafisica occidentale. Le figure mitologiche e teologiche che emergono dal romanzo - da Narciso a Giona, dalla necessità all'astratto, dal peccato all'innocenza - diventano le colonne portanti di una riflessione che si interroga sul destino dell'uomo e sulla sua eterna ricerca di verità. Il "percorso conoscitivo" intrapreso da Achab non è solo una caccia alla balena, ma una vera e propria tragedia della conoscenza, dove la verità ultima sembra sempre sfuggire, destinata a rimanere nell'ombra.

  L'approccio di Donà al testo è tanto meticoloso quanto innovativo. L'autore non si limita a tracciare un'analisi tematica del romanzo, ma entra nel vivo delle sue implicazioni filosofiche. La figura della balena bianca, Moby Dick, non è solo l'oggetto della caccia, ma rappresenta, secondo Donà, il mistero inaccessibile, l'"altro" assoluto che sfida la ragione umana. Il tentativo di Achab di dominare la balena diventa il tentativo di sottomettere l'assoluto alla comprensione umana, di mettere ordine in un universo che sfugge ai nostri schemi logici.

  Donà lega questa dinamica alla riflessione sulla libertà e sulla necessità, e in particolare al tema del "peccato originale", non come mera colpa morale, ma come condizione ontologica che segna l'ingresso dell'uomo nel mondo del conflitto tra il bene e il male, tra il conosciuto e l'ignoto. In questo contesto, il viaggio sulla Pequod diventa un'odissea interiore, una discesa negli abissi della conoscenza, destinata inevitabilmente al fallimento, ma anche all'affermazione di un sapere che non può essere assimilato né posseduto. La tragicità del romanzo, secondo Donà, risiede proprio nel fatto che il desiderio di Achab di conoscere e dominare la realtà si traduce in una discesa verso l'autodistruzione.

  Come accade spesso nelle opere di Donà, anche in questo saggio emerge la sua capacità di intrecciare filosofia e arte, in particolare la musica. La sua formazione musicale si riflette nel ritmo della scrittura, che non è mai monolitico o lineare, ma piuttosto frammentato e polifonico, simile a un assolo jazz che gioca con i temi e le variazioni, creando un flusso che mantiene il lettore in un costante stato di tensione intellettuale. La sua capacità di combinare riflessione filosofica e suggestione letteraria risulta affascinante, e l'analisi del romanzo diventa una sorta di performance intellettuale, dove ogni concetto viene rielaborato e riproposto in nuovi sviluppi.

  L'autore, come un compositore jazz, manipola i temi del romanzo con una sorta di libertà intellettuale che lo porta a non limitarsi ai confini tradizionali della filosofia o della letteratura. La sua riflessione è vivace, dinamica, e offre al lettore spunti di riflessione che vanno ben oltre il romanzo stesso, rendendo la lettura un'esperienza anche musicale, nella sua capacità di evocare emozioni e pensieri complessi.

  Con questo saggio, Donà ci offre una riflessione che trascende il romanzo di Melville, rendendolo un punto di partenza per interrogarsi sui grandi temi dell'esistenza, sulla natura della conoscenza e sulla tensione eterna tra l'essere e il nulla. Una lettura che, pur nella sua intensità, riesce a farci comprendere, come Achab, che la vera tragedia non sta nel desiderio di conoscenza, ma nell'impossibilità di raggiungerla mai completamente.