Robert FAURISSON
Teheran, 11 dicembre 2006

Al Presidente Mahmoud Ahmadinejad
Ai nostri prigionieri di coscienza Ernst Zündel, Germar Rudolf, Horst Mahler
A Arthur Butz, Fred Leuchter, Barbara Kulaszka, Ahmed Rami, Gerd Honsik, Heinz Koppe

Le vittorie del revisionismo

Sintesi

Al processo di Norimberga (1945-1946), il tribunale dei vincitori ha accusato la Germania vinta in particolare

1) di aver ordinato e pianificato lo sterminio fisico degli ebrei d’Europa;

2) di avere, a questo scopo, messo a punto ed utilizzato delle armi di distruzione di massa, in particolare, quelle chiamate “camere a gas”;

3) di avere provocato, essenzialmente con queste armi ma anche con altri mezzi, la morte di sei milioni di ebrei.

A sostegno di questa triplice accusa, ripresa per sessant’anni da tutti i grandi mezzi di comunicazione occidentali, non è stata esibita alcuna prova che resista all’esame. Il Professor Faurisson ne ha concluso nel 1980:
“Le pretese camere a gas hitleriane e il preteso genocidio degli ebrei costituiscono una sola e medesima menzogna storica, che ha permesso una gigantesca truffa politico-finanziaria i cui principali beneficiari sono lo Stato d’Israele e il sionismo internazionale e le cui principali vittime sono il popolo tedesco – ma non i suoi dirigenti – e l’intero popolo palestinese.”

Nel 2006 egli continua a sostenere integralmente questa conclusione. In quasi sessant’anni, i revisionisti, a cominciare dai Francesi Maurice Bardèche e Paul Rassinier, hanno accumulato, dal punto di vista storico e scientifico, un’impressionante serie di vittorie sui loro avversari. Vengono qui forniti venti esempi di queste vittorie, che vanno dal 1951 ai giorni nostri.

Il revisionismo non è un’ideologia bensì un metodo ispirato dalla ricerca dell’esattezza in materia di storia. Le circostanze fanno sì che il revisionismo sia anche diventato la grande avventura del tempo presente.

Nato nel 1929 da padre francese e da madre britannica (scozzese), Robert Faurisson ha insegnato lettere classiche (francese, latino, greco), in seguito si è specializzato dapprima nell’analisi dei testi della letteratura francese moderna e contemporanea e, infine, nella critica di testi e documenti (letteratura, storia, mezzi di comunicazione). Egli ha insegnato in particolare alla Sorbona e all’Università di Lione. A causa delle sue prese di posizione revisioniste, è stato sospeso dall’insegnamento. Più volte è stato condannato dalla giustizia. Ha subito dieci aggressioni fisiche. In Francia stampa, radio e televisione gli sono sbarrate così come ad ogni revisionista. Tra le sue opere: Ecrits révisionnistes (1974-1998), in quattro volumi (2ª edizione, LV-2027 p.).

Avvertenza

La presente relazione ha per titolo “Le Vittorie del revisionismo” e non “Storia del revisionismo” o “Argomentazioni della tesi revisionista”. Essa tratta soltanto delle vittorie che i nostri avversari hanno dovuto concederci in maniera esplicita o implicita. Non ci si deve dunque aspettare di trovare qui menzione sistematica di autori, opere o argomentazioni revisionisti. Se tuttavia dovessi raccomandare un breve saggio di letture revisioniste, io consiglierei l’opera di primo riferimento costituita da The Hoax of the Twentieth Century / The Case Against the Presumed Extermination of European Jewry, pubblicata nel 1976 da Arthur Robert Butz. Il libro è magistrale. In trent’anni di esistenza nessuno ne ha tentato la confutazione tanto solidamente esso è costruito; io ne suggerisco la lettura nell’edizione del 2003, che ha il vantaggio di contenere cinque notevoli supplementi. Sarebbe anche opportuno leggere, di Fred Leuchter, il suo famoso rapporto, An Engineering Report on the Alleged Execution Gas Chambers at Auschwitz, Birkenau and Majdanek, Poland; ne raccomando la lettura nell’edizione con copertina dorata, pubblicata da Samisdat Publishers a Toronto nel 1988 e contenente, a pagina 42, il testo di una lettera del 14 maggio 1988 sulla totale assenza di orifizi sui tetti delle pretese camere a gas dei crematori II e III di Auschwitz-Birkenau; F. Leuchter ha anche pubblicato altri tre rapporti sulla questione delle camere a gas. Del chimico tedesco Germar Rudolf non si mancherà di leggere almeno Lectures on the Holocaust / Controversial Issues Cross Examined, Theses and Dissertations Press (PO Box 257768, Chicago, IL 60625, USA), 2005, nonché l’impressionante serie (più di trenta volumi attualmente) che egli ha pubblicato con il titolo Vierteljahreshefte für freie Geschichtsforschung, senza contare, in inglese, la sua rivista The Revisionist e molte altre pubblicazioni che fanno già dell’opera di G. Rudolf (oggi quarantaduenne e incarcerato in Germania) uno straordinario monumento scientifico. Infine, citiamo l’opus magnum dell’avvocatessa canadese Barbara Kulaszka, Did Six Million Really Die? / Report of the Evidence in the Canadian “False News” Trial of Ernst Zündel, 1988, pubblicato nel 1992; la densità tipografica ne fa un’opera di circa mille pagine in formato usuale. Il testo mostra come, durante i due lunghissimi processi intentati a Ernst Zündel nel 1985 e nel 1988 dinanzi ad un tribunale di Toronto, la controparte, confrontata con l’argomentazione revisionista, sia crollata: una vera Stalingrado per gli storici ortodossi, a cominciare dal maggiore di loro, Raul Hilberg. Studi essenziali sono stati scritti dai Tedeschi Wilhelm Stäglich e Udo Walendy, dall’Italiano Carlo Mattogno, dallo Spagnolo Enrique Aynat Eknes, dallo Svizzero Jürgen Graf e da una decina di altri autori. I 97 numeri di The Journal of Historical Review (1980-2002), dovuti per una buona parte all’Americano Mark Weber, costituiscono una miniera d’informazioni su tutti gli aspetti della ricerca revisionista. In Francia, Pierre Guillaume, Serge Thion, Henri Roques, Pierre Marais, Vincent Reynouard, Jean Plantin sono succeduti a Maurice Bardèche e a Paul Rassinier. Non si contano più nel mondo le pubblicazioni e i siti Internet di carattere revisionista, e ciò nonostante la censura e la repressione.

L’“Olocausto” resta nondimeno l’unica religione ufficiale di tutto l’Occidente, una religione micidiale se mai ce ne fu una. E che continua ad ingannare milioni di brave persone con i metodi più grossolani: esposizione di cumuli di occhiali, di capelli, di scarpe o di bagagli presentati come “reliquie” di “gassati”, fotografie falsificate o il cui senso è stato distorto, uso di documenti innocui alterati o interpretati in controsenso, messe in scena di testimoni professionisti, moltiplicazione all’infinito di monumenti, di cerimonie, di spettacoli, shoatico lavaggio del cervello sin dalla scuola, escursioni organizzate verso i luoghi santi del preteso martirio ebraico e processi spettacolari con richiami al linciaggio.

Il presidente Ahmadinejad ha usato la parola giusta: il preteso “Olocausto” degli ebrei è un “mito”, cioè una credenza tenuta in vita dalla credulità o dall’ignoranza. In Francia, è perfettamente lecito proclamare che non si crede in Dio ma è vietato dire che non si crede nell’“Olocausto”, o semplicemente che se ne dubita. Questo divieto di ogni specie di contestazione è diventato formale e ufficiale con la legge del 13 luglio 1990. Detta legge è stata pubblicata sul « Journal Officiel » (Gazzetta ufficiale della Repubblica francese) all’indomani, cioè il 14 luglio, giorno della commemorazione della Repubblica e della Libertà. Essa afferma che la pena può arrivare fino a un anno di carcere e a un’ammenda di 45 000 euro; ma è anche possibile la condanna al pagamento degli interessi e di considerevoli spese di pubblicazioni giudiziarie. La giurisprudenza precisa che tutto ciò si applica “anche se [tale contestazione] viene presentata sotto forma mascherata o dubitativa o attraverso insinuazione” (Code pénal, Parigi, Dalloz, 2006, p. 2059). La Francia non ha dunque che un mito ufficiale, quello dell’“Olocausto”, e non conosce che un blasfemo, colui che oltraggia l’“Olocausto”.

Personalmente, l’11 luglio 2006, sono stato ancora una volta citato in giudizio dinanzi a un tribunale di Parigi sulla base di questa legge speciale. Il presidente del tribunale che mi giudicava, Nicolas Bonnal, aveva seguito un tirocinio di formazione alla repressione del revisionismo su Internet, un corso di addestramento organizzato dal Centro Simon Wiesenthal di Parigi sotto l’egida del Consiglio rappresentativo delle istituzioni ebraiche di Francia (CRIF)! In un comunicato trionfalmente intitolato:
“Il CRIF parte attiva della formazione dei magistrati europei” quest’organismo ebraico, il cui potere politico è enorme, non aveva temuto di annunciare urbi et orbi che esso contava Nicolas Bonnal tra i suoi allievi o tirocinanti (http://www.crif.org/?page=articles_display/detail&aid=7222&artyd=2&stinfo=297.376.1467 ). Non è tutto. Al mio processo, per fare buon peso, si è dato il caso che la procuratrice della Repubblica fosse un’ebrea di nome Anne de Fontette; nel perorare la sua requisitoria, quest’ultima, benché presumibilmente tenuta a parlare in nome di uno Stato laico, ha fatto appello alla vendetta di “Jahvè, protettore del suo popolo eletto” contro “le labbra false” di Faurisson, colpevole di aver concesso un’intervista telefonica di carattere revisionista a una stazione radio-televisiva iraniana, Sahar 1.  

Le conclusioni della ricerca revisionista

I Tedeschi del Terzo Reich hanno voluto estirpare gli ebrei d’Europa ma non sterminarli. Essi hanno auspicato “una soluzione finale territoriale della questione ebraica” e non una “soluzione finale” nel senso di una qualsivoglia soppressione fisica (auspicare una “soluzione finale della disoccupazione” non significa volere la morte dei disoccupati). I Tedeschi hanno avuto dei campi di concentramento ma non dei “campi di sterminio” (espressione forgiata dalla propaganda alleata). Essi hanno utilizzato delle camere a gas di disinfezione che funzionavano in particolare con un insetticida chiamato Zyklon B (a base di acido cianidrico) ma non hanno mai avuto camere a gas omicide o camion a gas omicidi. Essi hanno utilizzato dei forni crematori per cremare i cadaveri e non per infornare degli esseri viventi. Dopo la guerra, le fotografie dette “di atrocità naziste” ci mostravano sia dei malati, sia dei moribondi, sia dei morti ma non dei morti ammazzati. A causa del blocco degli Alleati, a causa dei bombardamenti generalizzati e a causa dell’apocalisse vissuta dalla Germania alla fine di un conflitto di quasi sei anni, la carestia e le epidemie, in particolare il tifo, avevano devastato il paese e, in particolare, i campi dell’ovest sovrappopolati per l’arrivo in massa dei detenuti evacuati dai campi dell’est e privati di cibo, di medicinali e dello Zyklon B necessario alla protezione contro il tifo.

In quel macello che è una guerra, si soffre. In una guerra moderna, i civili delle nazioni belligeranti soffrono talvolta tanto quanto i soldati, se non di più. Durante il conflitto che, dal 1933 al 1945, li ha opposti ai Tedeschi, gli ebrei europei hanno dunque dovuto soffrire ma infinitamente meno di quanto essi osino affermare con sfacciataggine. Certo, i Tedeschi li hanno trattati come una minoranza ostile o pericolosa (c’erano delle ragioni per questo) e contro queste persone le autorità del III Reich sono state indotte ad adottare, a causa della guerra, delle misure, sempre più coercitive, di polizia o di sicurezza militare. In certi casi, tali misure sono arrivate fino alla reclusione in campi d’internamento oppure fino alla deportazione verso campi di concentramento o di lavori forzati. A volte, gli ebrei sono stati giustiziati per sabotaggio, spionaggio, terrorismo e, soprattutto, per attività di guerriglia a favore degli Alleati, principalmente sul fronte russo ma non per la semplice ragione che essi erano ebrei. Giammai Hitler ha ordinato o permesso di uccidere una persona in ragione della razza o della religione. Quanto alla cifra di sei milioni di decessi ebrei, essa è una pura invenzione che non ha mai ottenuto giustificazione nonostante gli sforzi in questo senso dell’istituto Yad Vashem di Gerusalemme.

Di fronte alle tremende accuse lanciate contro la Germania vinta i revisionisti hanno detto agli accusatori:

1) Mostrateci un solo documento che, a vostro parere, provi che Hitler o un qualsiasi nazionalsocialista ha ordinato e pianificato lo sterminio fisico degli ebrei;

2) Mostrateci quell’arma di distruzione di massa che sarebbe stata una camera a gas; mostratecene una sola, a Auschwitz o altrove; e se per caso, pretendete che non potete mostrarcene una perché i Tedeschi, secondo voi, avrebbero distrutto “l’arma del crimine”, forniteci almeno un disegno tecnico che rappresenti uno di quei mattatoi che, stando a quello che dite, sarebbero stati distrutti dai Tedeschi e spiegateci come quell’arma dalla resa fantastica ha potuto funzionare senza comportare la morte degli esecutori o dei loro aiutanti;

3) Spiegateci come siete arrivati alla vostra cifra di sei milioni di vittime.

Ora, in più di sessant’anni, gli storici-accusatori ebrei o non ebrei si sono rivelati incapaci di fornire una risposta a queste tre domande. Essi hanno dunque accusato senza prove. Questo si chiama calunniare.

Ma c’è qualcosa di più grave: i revisionisti hanno enumerato una serie di fatti reali che provano che questo sterminio fisico, queste camere a gas e questi sei milioni non sono potuti esistere. 1) Il primo di questi fatti è che, per tutta la durata della guerra, milioni di ebrei europei hanno vissuto sotto gli occhi di tutti, essendo una buona parte di loro impiegata nelle fabbriche dai Tedeschi che avevano una terribile penuria di manodopera, e quei milioni di ebrei non sono stati dunque uccisi. Meglio: i Tedeschi hanno ostinatamente offerto agli Alleati, fino all’ultimo mese del conflitto, di consegnare loro tanti ebrei quanti i secondi avrebbero auspicato all’espressa condizione che non fosse per inviarli in Palestina, e ciò per riguardo verso “il nobile e valente popolo arabo” già angariato dai coloni ebrei. 2) Il secondo di questi fatti, che ci è stato accuratamente nascosto, è che gli eccessi eventualmente commessi contro gli ebrei potevano comportare le sanzioni più severe; uccidere anche un solo ebreo o una sola ebrea poteva valere, persino per i soldati tedeschi, la condanna a morte da parte di un tribunale militare e la fucilazione. Altrimenti detto, gli ebrei che vivevano sotto l’amministrazione tedesca continuavano, se osservavano i regolamenti in vigore, a godere della protezione della legge penale, anche nei confronti delle forze armate. 3) Il terzo di questi fatti è che le pretese camere a gas naziste di Auschwitz o di altre parti sono semplicemente inconcepibili per delle ragioni fisiche o chimiche che sono ovvie: mai, dopo la pretesa gassazione con gas cianidrico di centinaia o migliaia di uomini in un locale, altri uomini sarebbero potuti penetrare in un vero e proprio bagno di quel veleno per manipolarvi ed estrarre tanti cadaveri che, trattati con il cianuro in superficie e in profondità, sarebbero diventati intoccabili. Il gas cianidrico aderisce fortemente alle superfici; esso penetra persino nel cemento o nel mattone ed è difficile da aerare; penetra nella pelle, s’insinua nei corpi, si mescola agli umori. Negli Stati Uniti, è proprio questo il gas che si utilizza ancora ai giorni nostri in una camera a gas per l’esecuzione di un condannato a morte, ma proprio tale camera è di acciaio e di vetro, essa è dotata di un congegno necessariamente molto complicato e richiede straordinarie precauzioni d’uso; basta vedere una camera a gas americana destinata all’esecuzione di un solo individuo per rendersi conto che le pretese camere a gas di Auschwitz che si suppone siano servite per l’esecuzione di stuoli d’individui, giorno dopo giorno, non sono potute esistere né hanno potuto funzionare.

Ma allora, si dirà, che cosa è stato di tutti quegli ebrei di cui, noi, revisionisti, concludiamo dalle nostre ricerche che non sono mai stati uccisi? La risposta è qui, sotto i nostri occhi e alla portata di tutti: una parte degli ebrei d’Europa è morta, come decine di milioni di non ebrei, a causa della guerra, della fame, delle epidemie e un’altra parte degli ebrei è ben sopravvissuta, a milioni, alla guerra. Questi ultimi si sono fatti abusivamente chiamare “miracolati”. Nel 1945, i “sopravvissuti” o i “miracolati” ebrei europei si contavano a milioni e si sono sparpagliati in una cinquantina di paesi del mondo, a cominciare dalla Palestina. Come avrebbe potuto una pretesa decisione di sterminio fisico degli ebrei generare milioni di “miracolati” ebrei? Milioni di “miracolati”, non è più un miracolo; è un falso miracolo, è una menzogna, è una frode.

Per parte mia, nel 1980, ho riassunto in una frase di sessanta parole francesi le conclusioni delle ricerche revisioniste:
Le pretese camere a gas hitleriane e il preteso genocidio degli ebrei formano una sola e medesima menzogna storica, che ha permesso una gigantesca truffa politico-finanziaria i cui principali beneficiari sono lo Stato d’Israele e il sionismo internazionale e le cui principali vittime sono il popolo tedesco, ma non i suoi dirigenti, e l’intero popolo palestinese.

Oggi, nel 2006, vale a dire ventisei anni dopo, io continuo a sostenere questa frase nella sua integralità. Essa non mi era ispirata da nessuna simpatia o antipatia politica o religiosa. Essa trovava il suo fondamento in fatti assodati che avevano cominciato a portare alla luce, da un lato, Maurice Bardèche, nel 1948 e nel 1950, con i suoi due libri sul processo di Norimberga e, dall’altro, Paul Rassinier, nel 1950, pubblicando La menzogna di Ulisse. A partire dal 1951, anno dopo anno, i nostri avversari, così ricchi, così potenti, così accaniti nel praticare tutte le forme possibili di repressione contro il revisionismo, si sono visti costretti a darci progressivamente ragione sul piano tecnico, scientifico e storico. Le vittorie riportate dal revisionismo della Seconda guerra mondiale sono numerose e significative, ma, bisogna purtroppo riconoscerlo, restano ancora ai giorni nostri quasi sconosciute al grande pubblico. Queste vittorie, i potenti hanno fatto di tutto per nasconderle al mondo. Ciò si comprende: il loro dominio e la loro divisione del mondo sono in qualche modo fondati sulla religione del preteso “Olocausto” degli ebrei. Mettere in discussione l’“Olocausto”, svelarne pubblicamente la straordinaria impostura, strappare la maschera agli uomini politici, ai giornalisti, agli storici, agli universitari, agli uomini di chiesa, di clan, di cricca che, per più di sessant’anni hanno predicato il falso pur brandendo l’anatema contro gli empi, costituisce un’avventura pericolosa. Ma, come si vedrà, nonostante la repressione, il tempo sembra finire per giocare a favore dei revisionisti.

Esempi di vittorie revisioniste

Non ricorderò qui che venti di queste vittorie.

1) Nel 1951, l’ebreo Léon Poliakov, che era addetto alla delegazione francese al processo di Norimberga (1945-1946), ha concluso che, per tutti i punti della storia del III Reich noi disponevamo di documenti in sovrabbondanza ad eccezione di un solo punto: la “campagna di sterminio degli ebrei”. Qui, scrive, “Non è rimasto alcun documento, forse non è mai esistito” (Bréviaire de la haine, Parigi, Calmann-Lévy, 1974 [1951], p. 171 – in italiano: Il nazismo e lo sterminio degli ebrei, Torino, Einaudi, 1955).
Osservazione: c’è qui una straordinaria concessione alla tesi revisionista. Infatti, un’impresa criminale così tremenda presumibilmente concepita, ordinata, organizzata e perpetrata dai Tedeschi avrebbe necessitato di un ordine, un piano, delle istruzioni, un bilancio preventivo,… Una tale impresa, condotta per anni, su tutto un continente e con il risultato di causare la morte di milioni di vittime, avrebbe lasciato una valanga di prove documentali. Di conseguenza, se ci vengono a dire che forse non sono mai esistite tali prove documentali, significa che il crimine in questione non è stato perpetrato. In assenza di qualsiasi documento, allo storico non resta che tacere. L. Poliakov ha fatto questa concessione nel 1951, cioè cinquantacinque anni or sono. Ora bisogna sapere che, dal 1951 al 2006, anche i suoi successori hanno fallito nel trovare la minima prova documentale. Sporadicamente, qua e là, si è assistito a dei tentativi di farci credere a tale o tal altra scoperta ma, ogni volta, come si vedrà qui di seguito, è stato necessario venire a più miti consigli.

2) Nel 1960, Martin Broszat, membro dell’Istituto di storia contemporanea di Monaco di Baviera ha scritto: “Né a Dachau, né a Bergen-Belsen, né a Buchenwald, sono stati gassati ebrei o altri detenuti” « Die Zeit », 19 agosto 1960, p. 16).
Osservazione: Quest’improvvisa e inspiegabile concessione è significativa. Al processo di Norimberga, la sola camera a gas omicida che l’accusa si fosse azzardata a mostrarci in un film era stata quella di Dachau e numerose erano state le testimonianze di pretese gassazioni omicide nei tre campi sopra citati. M. Broszat riconosce dunque implicitamente che queste testimonianze erano false. Egli non ci dice in che cosa esse erano false. Non ci dice neanche in che cosa altre testimonianze riguardanti, per esempio, Auschwitz, Majdanek, Treblinka, Sobibor o Belzec continuerebbero ad essere degne di fede. Negli anni ‘80, a Dachau, un cartello indicava in cinque lingue che la “camera a gas mascherata da doccia” che i turisti visitavano non era “mai servita” come tale. I revisionisti avevano allora chiesto in che cosa la stanza potesse essere qualificata come “camera a gas” omicida. Di colpo, le autorità del Museo di Dachau hanno ritirato quel cartello per sostituirlo con un altro in cui, in tedesco e in inglese, si dice ora: “Camera a gas. Qui si trovava il centro del potenziale assassinio di massa” e si aggiunge che “potevano essere gassati fino a 150 uomini alla volta” in questo spazio con dello Zyklon B. Si noteranno le parole “potenziale” e “potevano” (in inglese “potential” e “could”). La scelta di queste parole dimostra una bella doppiezza: fa nascere nei turisti l’idea che detta “camera a gas” è effettivamente servita a uccidere ma, nello stesso tempo, permette di ribattere ai revisionisti: “Noi non abbiamo detto espressamente che questa camera a gas è servita a uccidere; abbiamo semplicemente detto che essa poteva o sarebbe potuta servire, a quel tempo, a uccidere tante persone”. Per concludere, nel 1960, M. Broszat ha decretato, senza alcuna spiegazione, in una semplice lettera che nessuno era stato gassato a Dachau; poi, negli anni successivi, le autorità del Museo di Dachau, assai imbarazzate, hanno cercato, a prezzo di diversi raggiri che sono variati con il tempo, d’ingannare i visitatori facendo loro credere che, in questa stanza dall’aspetto di doccia (e per una buona ragione, perché questo era), erano state veramente gassate delle persone.

3) Nel 1968, la storica ebrea Olga Wormser-Migot, nella sua tesi su Le Système concentrationnaire nazi, 1933-1945 (Parigi, Presses universitaires de France, 1968), ha dedicato tutta una trattazione a ciò che essa chiama “Il problema delle camere a gas” (pp. 541-544). Essa vi esprime il proprio scetticismo sul valore di celebri testimonianze che attestano l’esistenza di camere a gas in campi come quelli di Mauthausen o di Ravensbrück. Su Auschwitz-I è categorica: questo campo in cui, ancora oggi, i turisti visitano una pretesa camera a gas era, in realtà, “privo di camera a gas” (p. 157).
Osservazione: Per muovere contro i vinti delle orribili accuse di gassazioni omicide, ci si è fidati soltanto di testimonianze e queste testimonianze non sono state verificate. Notiamo qui il caso particolare di Auschwitz-I: dunque 38 anni fa, una storica ebrea ha avuto il coraggio di scrivere che questo campo era “privo di camera a gas”; ora, ancora oggi, nel 2006, i turisti visitano a schiere a Auschwitz-I una stanza che si osa, ingannevolmente, presentare loro come una “camera a gas”. Qui ci troviamo di fronte ad un raggiro.

4) Nel 1979, trentaquattro storici francesi hanno firmato una lunga dichiarazione comune in risposta alle argomentazioni tecniche che io avevo personalmente invocato per dimostrare che l’esistenza e il funzionamento delle camere a gas naziste si scontrano con delle impossibilità materiali radicali. Secondo la tesi ufficiale, Rudolf Höss, uno dei tre comandanti successivi di Auschwitz, aveva confessato (!) e descritto come a Auschwitz e a Birkenau si gassavano gli ebrei. Secondo questa confessione, assai vaga, quando le vittime sembravano aver esalato l’ultimo respiro, si metteva in moto un apparecchio di aerazione e una squadra di prigionieri ebrei entrava immediatamente nell’ampia stanza per rimuoverne i cadaveri e trasportarli fino ai forni crematori. R. Höss diceva che quegli ebrei procedevano a quel lavoro con noncuranza fumando e mangiando. Io ho fatto osservare che era impossibile: non si può penetrare fumando e mangiando in un locale saturo d’acido cianidrico (gas velenoso, penetrante ed esplosivo) per toccarvi, manipolare ed estrarne con gran fatica migliaia di cadaveri impregnati d’acido cianidrico e dunque intoccabili. Nella loro dichiarazione, i trentaquattro storici mi hanno risposto: “Non bisogna domandarsi come un tale assassinio di massa sia stato tecnicamente possibile. È stato tecnicamente possibile poiché ha avuto luogo” (« Le Monde », 21 febbraio 1979, p. 23).
Osservazione: Questa risposta equivale a schivare la domanda posta. Se ci si tira indietro così, significa che si è incapaci di rispondere. E se trentaquattro storici si trovano a tal punto nell’incapacità di spiegare come un crimine di queste dimensioni è stato perpetrato, significa che questo crimine sfida le leggi della natura; dunque è immaginario. 

5) Sempre nel 1979, le autorità americane si sono infine decise a rendere pubbliche delle fotografie aeree di Auschwitz che, fino a quel momento, tenevano nascoste. Con cinismo o ingenuità, i due autori della pubblicazione, Dino A. Brugioni e Robert G. Poirier, ex-membri della CIA, danno alla piccola raccolta di foto il titolo di The Holocaust Revisited e incollano qua e là delle etichette che recano le parole “gas chamber(s)”, ma, nei loro commenti, nulla sta a giustificare tali appellativi. (Central Intelligence Agency, Washington, February 1979, ST-79-10001).
Osservazioni: Oggi, nel 2006, questo raggiro ci fa pensare alla miserabile dimostrazione dell’ex-ministro americano Colin Powell che cercava di provare, con lo stesso procedimento delle etichette apposte su delle foto aeree, l’esistenza di stabilimenti di fabbricazione di “armi di distruzione di massa” nell’Iraq di Saddam Hussein. In realtà, queste fotografie di Auschwitz infliggono una smentita alla tesi delle camere a gas naziste. Ciò che vi si vede distintamente, sono degli innocui crematori senza folla di persone accalcate all’esterno in attesa di penetrare nei pretesi spogliatoi e nelle pretese camere della morte. I terreni circostanti sono sgombri e visibili da ogni parte. Le aiuole dei giardinetti di questi crematori sono ben disegnate e non portano traccia del calpestio, quotidiano, di migliaia di persone. Il crematorio n. 3, per esempio, è contiguo a quello che noi sappiamo essere, grazie a dei documenti sicuri del Museo di Stato di Auschwitz, un campo di calcio ed è vicino a un campo di pallavolo (Hefte von Auschwitz, 15, 1975, fuori testo delle pagine 56 e 64). Esso è anche vicino ai 18 baraccamenti ospedalieri del campo degli uomini. Ci sono state trentadue incursioni aeree degli Alleati sopra questa zona che comprendeva anche gli importanti impianti industriali di Monowitz. Si comprende che gli Alleati vi abbiano bombardato a più riprese il settore industriale pur risparmiando per quanto possibile ciò che era chiaramente un campo di concentramento, di lavoro e di transito e non un “campo di sterminio”, sul quale non sono cadute in fin dei conti che alcune bombe vaganti.

6) Nel 1982, il 21 aprile, è stata fondata a Parigi un’associazione per lo studio degli assassinî con il gas sotto il regime nazionalsocialista (ASSAG) “allo scopo di ricercare e controllare gli elementi recanti la prova dell’utilizzo dei gas tossici da parte dei responsabili del regime nazionalsocialista in Europa per uccidere le persone di varie nazionalità, contribuire alla pubblicazione di questi elementi di prova, prendere a tal fine tutti i contatti utili a livello nazionale ed internazionale”. L’articolo 2 dello statuto sancisce: “La durata dell’Associazione è limitata alla realizzazione del suo scopo enunciato all’articolo 1.” Ora, quest’associazione fondata da quattordici persone, tra cui Germaine Tillion, Georges Wellers, Geneviève Anthonioz nata de Gaulle, l’Avv. Bernard Jouanneau e Pierre Vidal-Naquet, non ha, in quasi un quarto di secolo, mai pubblicato niente e nel 2006 continua a esistere. Qualora si sostenesse a torto che essa ha prodotto un libro intitolato Chambres à gaz, secret d’Etat, sarebbe opportuno ricordare che in tal caso si tratta in effetti della traduzione in francese di un’opera pubblicata in tedesco da Eugen Kogon, Hermann Langbein e Adalbert Rückerl e dove figurano alcuni contributi di alcuni membri dell’ASSAG (Parigi, Editions de Minuit, 1984).
Osservazione: Il titolo di quest’opera, da solo, dà una buona idea del contenuto: invece di prove, poggianti su fotografie di camere a gas, disegni, schizzi, rapporti peritali sull’arma del delitto, il lettore non trova che speculazioni a partire da ciò che viene chiamato “elementi di prove” (e non “prove”), e ciò perché, ci dicono, queste camere a gas avrebbero costituito il più grande dei segreti possibili, un “segreto di Stato”. Se c’è un’“arma di distruzione di massa” che avrebbe meritato una perizia in debita forma, è proprio quell’arma. Infatti, essa costituisce un’anomalia nella storia della scienza per almeno due ragioni: è senza precedenti e non ha avuto seguito; essa è sorta dal nulla per ritornare nel nulla. Ora, la storia della scienza non conosce nessun fenomeno del genere. In ogni caso, per il solo fatto di esistere ancora oggi nel 2006, si può dire che quest’associazione detta ASSAG non ha ancora realizzato lo scopo per il quale era stata fondata, ben presto venticinque anni or sono. Essa non ha dunque ancora trovato né prove e nemmeno elementi di prove dell’esistenza delle “camere a gas naziste”.

7) Nel 1982, dal 29 giugno al 2 luglio, si è tenuto a Parigi, alla Sorbona, un simposio internazionale sotto la presidenza di due storici ebrei, François Furet e Raymond Aron. Secondo gli organizzatori, si trattava di replicare solennemente e pubblicamente a Robert Faurisson e a “un gruppetto di anarchico-comunisti” che gli avevano fornito il proprio sostegno (allusione a Pierre Guillaume, Jean-Gabriel Cohn-Bendit, Serge Thion nonché ad altri libertari, a volte ebrei). L’ultimo giorno, durante la tanto attesa conferenza stampa, i due organizzatori hanno dovuto ammettere pubblicamente che, “nonostante le ricerche più erudite”, non era stato trovato un ordine di Hitler di uccidere gli ebrei. Quanto alle camere a gas, essi non vi hanno nemmeno fatto cenno.
Osservazione: Questo simposio ha costituito il primo tentativo al fine di mostrare al grande pubblico che i revisionisti mentivano. Come altri simposi dello stesso genere (in particolare nel 1987, sempre alla Sorbona), ne è stato vietato l’accesso ai revisionisti e, come tutti gli altri simposi, senza eccezione, è sfociato in un completo fallimento per gli organizzatori.

8) Nel 1983, il 26 aprile, terminava, in appello, il lungo processo che mi era stato intentato nel 1979, in particolare da alcune organizzazioni ebraiche, per “danno ad altri” attraverso la “falsificazione della storia” (sic). Quel giorno, la prima sezione della corte d’appello civile di Parigi, sezione A (presidente Grégoire), pur confermando la mia condanna per “danno ad altri” rendeva un sostenuto omaggio alla qualità dei miei lavori. Essa affermava, infatti, che non si poteva individuare nei miei scritti sulle camere a gas alcuna traccia di leggerezza, alcuna traccia di negligenza, alcuna traccia di deliberata ignoranza, né alcuna traccia di menzogna e che, di conseguenza, “il valore delle conclusioni difese dal Signor Faurisson [sulle camere a gas] appartiene dunque alla sola valutazione degli esperti, degli storici e del pubblico”.
Osservazione: Se non si possono rilevare presso l’autore di lavori che confutano la tesi delle camere a gas né leggerezza, né negligenza, né deliberata ignoranza, né menzogna, né “falsificazione”, è la prova che tali lavori sono quelli di un ricercatore serio, diligente, coscienzioso, probo ed autentico, e ciò a un grado tale che si deve avere il diritto di sostenere pubblicamente, come egli fa, che dette camere a gas non sono altro che un mito.

9) Nel 1983, il 7 maggio, Simone Veil, che è ebrea ed essa stessa una “sopravvissuta al genocidio”, ha dichiarato a proposito delle camere a gas: “Nel corso di un processo intentato a Faurisson per aver negato l’esistenza delle camere a gas, coloro che intentano il processo sono costretti ad apportare la prova incontrovertibile della realtà delle camere a gas. Ora tutti sanno che i nazisti hanno distrutto queste camere a gas ed eliminato sistematicamente tutti i testimoni” (« France-Soir Magazine », 7 maggio 1983, p. 47).
Osservazione: Se non ci sono né arma del crimine né testimonianze, che cosa resta? Che cosa pensare dei locali presentati come camere a gas a milioni di visitatori tratti in inganno? Che cosa pensare dei personaggi che si presentano come testimoni o come miracolati delle camere a gas? Per parte sua, S. Veil è la prima autorità olocaustica che abbia così dato ad intendere che ogni preteso testimone delle gassazioni non può essere che un falso testimone. Già il 6 marzo 1979, nel corso di un dibattito dei “Dossiers de l’écran” organizzato dalla televisione francese sull’uscita dello sceneggiato americano a puntate “Holocaust”, essa aveva manifestato il proprio disprezzo per Maurice Benroubi presentato come un “testimone delle camere a gas”. Quest’ultimo aveva di colpo mostrato un’estrema discrezione riguardo alla sua “testimonianza” apparsa poco prima su  «L’Express» (3-9 marzo 1979, p. 107-110).

10) Nel 1961, l’ebreo Raul Hilberg, Number One degli storici ortodossi, aveva pubblicato la prima edizione della sua opera più importante ed è stato nel 1985 che ne ha pubblicato la seconda edizione profondamente riveduta e corretta. La distanza di tempo tra queste due edizioni è considerevole e non si può spiegare che con la sequenza di vittorie riportate nel frattempo dai revisionisti. Nella prima edizione, l’autore aveva freddamente affermato che “la distruzione degli ebrei d’Europa” era stata innescata a seguito di due ordini successivi dati da Hitler. Egli non precisava né la data né il contenuto di tali ordini. In seguito pretendeva di spiegare nei minimi particolari il processo politico, amministrativo e burocratico di tale distruzione; per esempio egli arrivava a dire che a Auschwitz lo sterminio degli ebrei era organizzato da un ufficio incaricato della disinfezione degli abiti e dello sterminio degli esseri umani contemporaneamente (The Destruction of the European Jews, 1961, nuova edizione nel 1979 presso Quadrangle Books, Chicago, pp. 177, 570). Ora, nel 1983, rinunciando completamente a questa spiegazione, R. Hilberg è giunto all’improvviso ad affermare che il processo di “distruzione degli ebrei d’Europa” si era svolto, in fin dei conti, senza piano, senza organizzazione, senza centralizzazione, senza progetto, senza bilancio preventivo, ma, in tutto e per tutto, grazie a “un incredibile incontro degli spiriti, una trasmissione di pensiero consensuale in seno a una vasta burocrazia”, la burocrazia tedesca (an incredible meeting of minds, a consensus mind reading by a far-flung bureaucracy) («Newsday», New York, 23 febbraio 1983, p. II/3). Questa spiegazione, R. Hilberg la confermerà sotto giuramento al processo Zündel del 1985 a Toronto, il 16 gennaio 1985 (resoconto testuale, p. 848); poi, la confermerà di nuovo con altre parole nella versione profondamente riveduta della sua opera The Destruction of the European Jews, New York, Holmes & Meier, 1985, pp. 53, 55, 62 ; in francese, La Destruction des juifs d’Europe, Parigi, Fayard, 1988, pp. 51, 53, 60 — in italiano: La Distruzione degli ebrei d’Europa, Torino, Einaudi, 1995). Infine l’ha appena confermata nuovamente nell’ottobre 2006 in un’intervista concessa a « Le Monde »: “Non c’era uno schema guida prestabilito. Quanto alla questione della decisione, essa è in parte insolubile: non si è mai ritrovato nessun ordine firmato da Hitler, di suo pugno, probabilmente perché un tale documento non è mai esistito. Io sono persuaso che le burocrazie sono mosse da una sorta di struttura latente: ogni decisione ne comporta un’altra, poi un’altra e così via, anche se non è possibile prevedere esattamente la tappa seguente” (« Le Monde des livres » , 20 ottobre 2006, p. 12).
Osservazione: Lo storico Number One del genocidio degli ebrei si è dunque trovato così smarrito che è improvvisamente arrivato a rinnegarsi e a spiegare una gigantesca impresa d’assassinio collettivo come se questa si fosse realizzata in qualche modo per opera dello Spirito Santo. Egli evoca, infatti, un “incontro degli spiriti” in seno a una burocrazia e definisce quest’incontro “incredibile”. Se esso è incredibile, perché ci si dovrebbe credere? Bisogna credere all’incredibile? Egli invoca anche la “trasmissione di pensiero” e la definisce “consensuale”, ma si tratta qui di una pura speculazione intellettuale a base di credenza nel soprannaturale. Come credere a un fenomeno di questo genere, in particolare in seno a un vasto apparato burocratico e più in particolare ancora, in seno alla burocrazia del III Reich? È da notare che al modo di R. Hilberg, gli storici ufficiali hanno incominciato, negli anni 1980-1990, ad abbandonare la storia e a cadere nella metafisica e nel gergo. Essi si sono interrogati sul punto di sapere se bisognava essere “intenzionalisti” o “funzionalisti”: bisognava supporre che lo sterminio degli ebrei era avvenuto a seguito di un’“intenzione” (non ancora provata) e secondo un piano concertato (non ancora trovato) oppure tale sterminio era avvenuto da solo, spontaneamente e nell’improvvisazione, senza intenzione formale e senza alcun piano? Questo tipo di controversia fumosa testimonia lo smarrimento di storici che, incapaci di fornire delle prove e dei documenti a sostegno della loro tesi, sono ridotti a teorizzare a vuoto. In fondo, gli uni, gli “intenzionalisti”, ci dicono: “Ci sono stati necessariamente un’intenzione e un piano, che non abbiamo ancora trovato ma che forse scopriremo davvero un giorno”, mentre gli altri affermano: “Non c’è bisogno di ricercare le prove di un’intenzione e di un piano perché tutto è potuto avvenire senza intenzione, senza piano e senza lasciare tracce; simili tracce sono introvabili perché non sono mai esistite”.

11) Nel maggio 1986, in Francia, degli ebrei, allarmati nel constatare che non riuscivano a replicare ai revisionisti sul semplice piano della ragione, hanno deciso d’intraprendere un’azione al fine di ottenere la repressione legale del revisionismo. Questi ebrei sono principalmente Georges Wellers e Pierre Vidal-Naquet riuniti, con i loro amici, attorno al rabbino capo di Francia, René Samuel Sirat (« Bulletin quotidien de l’Agence télégraphique juive », 2 giugno 1986, pp. 1, 3). Nel giro di quattro anni, essi otterranno, in particolare grazie all’ebreo Laurent Fabius, ex-primo ministro e presidente dell’Assemblea nazionale, il voto, il 13 luglio 1990, di una legge speciale che permette d’infliggere a ogni persona che faccia pubblicamente dei discorsi revisionisti a proposito dello “sterminio degli ebrei” una pena che può arrivare fino a un anno di carcere, un’ammenda di un massimo di 300 000 Ffr (45 000 euro) e altre pene ancora. Questo colpo di mano costituisce una flagrante confessione di debolezza.
Osservazione: G. Wellers e P. Vidal-Naquet sono stati messi in allarme soprattutto dalla sentenza del 26 aprile 1983 (vedere sopra, il paragrafo 8). Il primo ha scritto: “La corte ha riconosciuto che [Faurisson]si era ben documentato. Il che è falso. È stupefacente che la corte ci sia cascata”( « Le Droit de vivre », giugno-luglio 1987, p. 13). Il secondo ha scritto che la Corte d’appello di Parigi “ha riconosciuto la serietà del lavoro di Faurisson, che è il colmo, e, insomma, lo ha condannato solo per aver agito con malanimo riassumendo le sue tesi in slogan” (Les Assassins de la mémoire, Parigi, La Découverte, 1987, p. 182 – in italiano: Gli assassini della memoria, Roma, Ed. Riuniti, 1993).

12) Nel 1986, in agosto, Michel de Boüard, ex-membro della resistenza deportato, professore di storia, preside della facoltà di lettere dell’università di Caen, membro dell’Institut de France, responsabile, in seno al Comitato di storia della seconda guerra mondiale, della commissione di storia della deportazione, ha dichiarato che in fin dei conti “la faccenda è putrefatta”. Egli precisava che la faccenda in questione, quella della storia del sistema dei campi di concentramento tedeschi, era “putrefatta” da, secondo le sue parole, “un’enormità d’invenzioni, d’inesattezze ripetute ostinatamente, in particolare sul piano numerico, di amalgami, di generalizzazioni”. Accennando agli studi dei revisionisti, aggiungeva che c’erano “d’altra parte, degli studi critici molto approfonditi per dimostrare l’inanità di tali esagerazioni” (« Ouest-France », 2-3 agosto 1986, p. 6).
Osservazione: M. de Boüard era uno storico professionista e addirittura lo storico francese più competente in storia della deportazione. Fino al 1985 egli difendeva la posizione strettamente ortodossa ed ufficiale. Dalla lettura della tesi del revisionista Henri Roques sulla pretesa testimonianza dell’SS Kurt Gerstein, ha compreso il suo errore. Egli l’ha onestamente riconosciuto, arrivando persino a dire che, se egli aveva fino a quel momento personalmente avallato l’esistenza di una camera a gas nel campo di Mauthausen, era a torto, prestando fede a ciò che si diceva. (La sua morte prematura avvenuta nel 1989 ha privato il campo revisionista di un’eminente personalità che si era ripromessa di pubblicare un’opera destinata a mettere in guardia gli storici contro le menzogne ufficiali della storia della Seconda guerra mondiale).

13) Nel 1988, Arno Mayer, professore americano di origine ebraica, docente all’università di Princeton di storia dell’Europa contemporanea, ha scritto a proposito delle “camere a gas naziste”: “Le fonti per lo studio delle camere a gas sono al contempo rare e dubbie” (Sources for the study of the gas chambers are at once rare and unreliable) (The “Final Solution” in History , New York, Pantheon Books, 1988, p. 362 ; in francese, La « solution finale » dans l’histoire, prefazione di Pierre Vidal-Naquet, Parigi, La Découverte, 1990, p. 406 — in italiano: Soluzione finale: lo sterminio degli ebrei nella storia europea, Milano, Mondadori, 1990).
Osservazione: Ancora oggi, nel 2006, il grande pubblico persiste nel credere che, come glielo suggeriscono instancabilmente i mezzi di comunicazione, le fonti per lo studio delle camere a gas siano innumerevoli e indiscutibili. Al simposio della Sorbona del 1982, A. Mayer non aveva avuto, come il suo amico Pierre Vidal-Naquet, parole mai abbastanza dure per i revisionisti; ora, sei anni dopo, ecco che questo storico ultra-ortodosso si è notevolmente avvicinato alle conclusioni revisioniste.

14) Nel 1989, lo storico elvetico Philippe Burrin, ponendo come principio e senza dimostrarlo che camere a gas naziste e genocidio ebraico sono esistiti, ha tentato di determinare in che data e da chi era stata presa la decisione di sterminare fisicamente gli ebrei d’Europa. Egli non ha avuto maggiore successo di tutti i suoi colleghi “intenzionalisti” o “funzionalisti” (Hitler et les juifs / Genèse d’un génocide, Parigi, Seuil, 1989 — in italiano: Hitler e gli ebrei: genesi di un genocidio, Genova, Marietti, 1994). Egli ha dovuto constatare l’assenza di tracce del crimine e notare ciò che egli ha deciso di chiamare “la cancellazione ostinata della traccia di un passaggio d’uomo” (p. 9). Egli deplora “le grandi lacune della documentazione” e aggiunge: “Non sussiste alcun documento che riguardi un ordine di sterminio firmato da Hitler. […] Con ogni probabilità, gli ordini furono impartiti verbalmente. […] le tracce qui sono non soltanto poco numerose e sparse, ma di difficile interpretazione” (p. 13).
Osservazione: Ecco ancora uno storico professionista che riconosce di non poter produrre alcun documento a sostegno della tesi ufficiale. Il grande pubblico immagina che le tracce del crimine siano numerose e prive di ambiguità ma lo storico che ha esaminato la documentazione afferente, per parte sua, non ha trovato niente se non rare parvenze di “tracce” delle quali si domanda quale interpretazione dare.

15) Nel 1992, Yehuda Bauer, professore all’università ebraica di Gerusalemme, ha dichiarato nel corso di una conferenza internazionale tenutasi a Londra sul genocidio degli ebrei: “Il pubblico ripete ancora, giorno dopo giorno, la sciocca storia (the silly story) che vuole che lo sterminio degli ebrei sia stato deciso a Wannsee” (comunicato della Jewish Telegraphic Agency riportato su « The Canadian Jewish News », 30 gennaio 1992).
Osservazione: Oltre al fatto che un’attenta lettura del “verbale” della riunione di Berlino-Wannsee del 20 gennaio 1942 prova che i Tedeschi pensavano ad una “soluzione finale territoriale [eine territoriale Endlösung] della questione ebraica”, che sarebbe sfociata in “rinnovamento ebraico” in uno spazio geografico da determinare, la dichiarazione assai tardiva di Yehuda Bauer conferma che questo punto primario della tesi dello sterminio degli ebrei non ha in effetti alcun valore. Aggiungiamo, a nostra volta, che lo sterminio degli ebrei non è stato deciso né a Wannsee né altrove. L’espressione “campi di sterminio” non è che un’invenzione della propaganda di guerra americana e alcuni esempi provano che, durante questa guerra, l’assassinio d’un solo ebreo o d’una sola ebrea esponeva il suo autore, fosse egli civile o militare, membro o no delle SS, al comparire davanti al consiglio di guerra dell’esercito tedesco e alla fucilazione (in sessant’anni, mai un solo storico ortodosso ha fornito una spiegazione a questo genere di fatti rivelati dalla difesa persino dinanzi al tribunale di Norimberga).

16) Nel gennaio 1995, lo storico francese Eric Conan, co-autore con Henry Rousso di Vichy, un passé qui ne passe pas (Parigi, Gallimard, 2001 [1994, 1996]), ha scritto che in definitiva io avevo avuto ragione di certificare, alla fine degli anni ’70, che la camera a gas visitata a Auschwitz da milioni di turisti era completamente falsa. Secondo E. Conan, che si esprimeva su un grande settimanale francese: “Tutto lì è falso […]. Alla fine degli anni ’70, Robert Faurisson sfruttò tanto meglio quelle falsificazioni quanto più responsabili del museo si mostravano recalcitranti nel riconoscerle”. E. Conan prosegue: “[Alcune persone], come Théo Klein, [preferiscono che si lasci la camera a gas] così come sta ma spiegando al pubblico il travisamento: ‘la Storia è quello che è; basta dirla, anche quando non è semplice, piuttosto che aggiungere artificio ad artificio”. E. Conan riferisce poi un discorso stupefacente della vice-direttrice del Museo nazionale di Auschwitz, che, per parte sua, non si decide a spiegare al pubblico il travisamento. Egli scrive: “Krystyna Oleksy […] non vi si risolve: ‘Per il momento, la si lascia così come sta [questa stanza qualificata come camera a gas] e non si fornisce alcuna precisazione al visitatore. È troppo complicato. Si vedrà più avanti’” (Eric Conan, “Auschwitz : la mémoire du mal”, « L’Express », 19-25 gennaio 1995, p. 68).
Osservazione: Questo discorso di una responsabile polacca significa in chiare parole: abbiamo mentito, mentiamo, e fino a nuovo ordine, continueremo a mentire. Nel 2005, io ho chiesto a E. Conan se le autorità del Museo di Auschwitz avevano pubblicato una smentita o sollevato una protesta contro l’affermazione che egli aveva attribuito, nel 1995, a K. Oleksy. La sua risposta è stata che non c’era stata né smentita, né protesta. Nel 1996, quest’impostura e altre relative anch’esse al campo di Auschwitz-I sono state denunciate da due autori ebrei, Robert Jan van Pelt e Deborah Dwork, in un’opera scritta congiuntamente: Auschwitz, 1270 to the Present, Yale University Press, 443 p. Ecco un saggio delle parole che sgorgano dalla loro penna: « postwar obfuscation », « additions », « deletions », « suppression », « reconstruction », « largely a postwar reconstruction » (p. 363), « reconstructed », « usurpation », « re-created », « four hatched openings in the roof, as if for pouring Zyklon B into the gas chamber below, were installed [after the war] » (p.364), « falsified », « inexact », « misinformation », « inappropriate » (p. 367), « falsifying » (p. 369). Nel 2001, il carattere fallace di questa camera a gas da effetto Potëmkin è stato riconosciuto anche in un libretto che accompagna due CD-Rom e che s’intitola: Le Négationnisme. Redatto da Jean-Marc Turine e Valérie Igounet, questo libretto reca una prefazione di Simone Veil (Radio-France – INA, Vincennes, Frémeaux et Associés).

17) Nel 1996, Jacques Baynac, storico francese, di sinistra e risolutamente antirevisionista sin dal 1978, ha finito per ammettere, dopo matura riflessione, che non c’erano le prove dell’esistenza delle camere a gas naziste. Non si può far altro, scrive, che constatare “l’assenza di documenti, di tracce o di altre prove materiali” (« Le Nouveau Quotidien de Lausanne », 2 settembre 1996, p. 16, e 3 settembre 1996, p. 14). Ma persiste nel credere nell’esistenza di quelle magiche camere a gas.
Osservazione: Insomma, J. Baynac dice: “Non ci sono prove ma io credo”, mentre un revisionista pensa: “Non ci sono prove, quindi rifiuto di credere e il mio dovere è contestare”.

18) Nel 2000, alla fine della sua Histoire du négationnisme en France (Parigi, Gallimard), Valérie Igounet ha pubblicato un lungo testo alla fine del quale Jean-Claude Pressac, che era stato uno dei più accesi avversari dei revisionisti, firma un vero e proprio atto di capitolazione. Infatti, riprendendo la parola del professor Michel de Boüard, dichiara che la faccenda del sistema dei campi di concentramento è “putrefatta”, e ciò in maniera irrimediabile. Egli scrive: “Si può forse raddrizzare il timone?” e risponde: “È troppo tardi”. Aggiunge: “L’attuale forma, pur tuttavia trionfante, della presentazione dell’universo dei campi è condannata”. Egli termina considerando che tutto ciò che è stato così inventato attorno a delle sofferenze troppo reali è destinato “alle pattumiere della storia” (pp. 651-652). Nel 1993-1994, questo protetto dell’ebreo Serge Klarsfeld e del rabbino americano Michael Berenbaum, direttore scientifico del Museo dell’Olocausto di Washington, era stato celebrato in tutto il mondo come uno straordinario ricercatore che, nel suo libro su Les Crématoires d'Auschwitz. La machinerie du meurtre de masse, Parigi, CNRS éditions, 1993, (in italiano: Le macchine dello sterminio. Auschwitz 1941-1945, Milano, Feltrinelli, 1994), aveva, sembra, messo a terra l’idra del revisionismo. Qui, nel libro di V. Igounet, lo si vede firmare la sua capitolazione.
Osservazione: Il grande pubblico era stato tenuto all’oscuro di un fatto d’importanza capitale: l’uomo provvidenziale che la stampa del mondo intero aveva presentato come uno straordinario ricercatore che aveva infine scoperto la prova scientifica dell’esistenza delle camere a gas naziste, quell’uomo ha finito per riconoscere il proprio errore. Qualche anno dopo, non c’è stato neanche un organo di stampa che abbia segnalato la sua morte.

19) Nel 2002, il summenzionato R. J. van Pelt ha pubblicato The Case for Auschwitz. Evidence from the Irving Trial, Indiana University Press, XVIII-571 p. Si sa che David Irving, che è tutt’al più un semi-revisionista e mal conosce l’argomentazione revisionista, ha perso il processo per diffamazione che aveva avuto l’imprudenza d’intentare all’universitaria ebrea americana Deborah Lipstadt. Egli ha maldestramente cercato di sostenere la tesi –perfettamente giusta del resto – secondo la quale non sono esistite camere a gas omicide a Auschwitz. Ma egli ha tuttavia segnato un punto essenziale e, se il giudice Charles Gray, poi altri giudici dopo quest’ultimo avessero avuto più coraggio, quel punto avrebbe dovuto permettergli di vincere la causa. L’argomentazione si riassumeva in una formula di quattro parole che io avevo lanciato nel 1994: “No holes, no Holocaust”. Il mio ragionamento era stato il seguente: 1. Auschwitz è al centro dell’“Olocausto”; 2. I grandi crematori di Auschwitz-Birkenau, o Auschwitz-II, sono al centro del vasto complesso di Auschwitz; 3. Nel cuore di questi crematori si trovavano, sembra, una o più camere a gas omicide; 4. Oggi uno solo di questi crematori (il crematorio n. 2), sebbene sia in rovina, permette di andare ad esaminare la stanza che si suppone essere stata una camera a gas omicida; è il presunto luogo di un crimine esso stesso presunto; 5. Ci viene detto che, per uccidere i detenuti ebrei ammucchiati nella stanza, un membro delle SS, portandosi sul tetto di cemento di detta camera a gas, versava dei granuli di Zyklon B attraverso quattro orifizi regolari situati sul soffitto; 6. Ora basta guardare per rendersi conto che tali orifizi non sono mai esistiti; 7. Dunque il crimine non può essere stato commesso. R. J. van Pelt, testimoniando contro D. Irving, ha sofferto le pene dell’inferno per cercare di trovare una risposta a questa argomentazione. In fin dei conti, né lui né i suoi collaboratori ci sono riusciti. Il giudice Gray ha dovuto, anche lui, riconoscere “the apparent absence of evidence of holes” (resoconto testuale, p. 490) e, in maniera più generale, egli ha concesso che “contemporaneous documents yield little clear evidence of the existence of gas chambers designed to kill humans” (p. 489; per maggiori dettagli si farà riferimento alle pagine 458-460, 466-467, 475-478 e 490-506). Nel testo stesso della sua sentenza, Charles Gray riconosce la propria sorpresa: “I have to confess that, in common I suspect with most other people, I had supposed that the evidence of mass extermination of Jews in the gas chambers at Auschwitz was compelling. I have, however, set aside this preconception when assessing the evidence adduced by the parties in these proceedings” (1371). Il fallimento degli storici-accusatori è qui flagrante e D. Irving avrebbe dovuto vincere il processo grazie a questa constatazione di un giudice che gli era ostile: i documenti d’epoca non ci consegnano davvero che pochi elementi di prova, che siano chiari, dell’esistenza delle camere a gas naziste e dunque di una politica tedesca di sterminio degli ebrei. Non è forse, dopo tutto, ciò che concludevano già, come abbiamo visto in precedenza, molti storici ebrei, a cominciare da Léon Poliakov nel 1951?

20) Nel 2004, uno storico francese, Florent Brayard, ha pubblicato un’opera intitolata: La « solution finale de la question juive ». La technique, le temps et les catégories de la décision, Parigi, Fayard, 640 p. Nel 2005, in una recensione di quest’opera, si potevano leggere le tre frasi seguenti: “Si sa che il Führer non ha né redatto né firmato un ordine di soppressione degli ebrei, che le decisioni – perché ce n’è stata più d’una – sono state prese nel corso di colloqui segreti con Himmler, forse Heydrich e/o Göring. Si suppone che, piuttosto di un ordine esplicito, Hitler abbia dato il proprio accordo a delle richieste o dei progetti dei suoi interlocutori. Forse egli non lo ha nemmeno formulato, ma si è fatto capire con un silenzio o un consenso” (Yves Ternon, « Revue d’histoire de la Shoah », luglio-dicembre 2005, p. 537).
Osservazione: Quasi ad ogni parola, queste frasi mostrano che l’autore è ridotto a delle avventurose speculazioni. Quando osa affermare senza il minimo indizio che Hitler si è forse fatto capire “con un silenzio o un consenso”, egli non fa che riprendere la teoria del “nod” (cenno del capo del Führer!) emessa dal professor Christopher Browning al processo Zündel di Toronto nel 1988. Non un universitario di convinzioni antirevisioniste si è mostrato più scadente e più scemo di questo shabbat-goy. Tant’è vero che, annientata dalle vittorie revisioniste, la tesi ufficiale ha finito per svuotarsi di ogni contenuto scientifico.

Bilancio di queste vittorie revisioniste

Ricapitoliamo brevemente queste vittorie revisioniste.

Messi con le spalle al muro dai revisionisti, gli storici ufficiali del preteso sterminio fisico degli ebrei hanno finito per riconoscere che, dal punto di vista storico e scientifico non resta loro alcuna argomentazione per sostenere la loro atroce accusa. Essi riconoscono infatti: 1) di non potere invocare a sostegno nessun documento che provi il crimine; 2) di essere incapaci di fornire la minima rappresentazione dell’arma del crimine; 3) di non possedere prove e nemmeno elementi di prove; 4) di non potere nominare alcun testimone veridico (ved., sopra, l’opinione di S. Veil); 5) che la loro faccenda è putrefatta (bis), irrimediabilmente putrefatta e che è destinata alle pattumiere della storia; 6) che le fonti un tempo citate a sostegno si sono rivelate non soltanto molto più rare di quanto si pretendesse ma anche dubbie; 7) che le pretese tracce sono poco numerose, sparse, di difficile interpretazione; 8) che da parte loro c’erano stati falsificazioni, travisamento, artificio; 9) che a sostegno della tesi ufficiale si è invocata troppo spesso una “storia sciocca” (sic), quella di una decisione di sterminare gli ebrei che sarebbe stata presa il 20 gennaio 1942 a Berlino-Wannsee; 10) che il primo di loro, Raul Hilberg, oggi è ridotto a spiegare tutto, in maniera strampalata, con delle presunte iniziative che la burocrazia tedesca avrebbe arditamente preso, secondo lui, senza ordine, senza piano, senza istruzione, senza controllo e semplicemente grazie, pare, ad un’incredibile incontro degli spiriti e una trasmissione di pensiero consensuale. Questi storici ufficiali non hanno saputo rispondere ad alcuna domanda o constatazione dei revisionisti del tipo: 1) “Show me or draw me a Nazi gas chamber” ; 2) “Bring me one proof, one single piece of evidence of your own choosing, on the grounds of which to assert that there was a genocide”; 3) “Bring me one testimony, one single testimony, the best one in your opinion” o ancora 4) “No holes, no Holocaust”. Essendo alle corde, gli storici di corte hanno fatto appello ai tribunali per condannare i revisionisti, ma, contro ogni aspettativa, è accaduto che i giudici siano arrivati a rendere omaggio alla probità dei revisionisti oppure abbiano manifestato sorpresa di fronte alla rarità o all’assenza delle prove documentali presso gli accusatori. Allora, dapprima in Francia, poi in molti altri paesi d’Europa, questi accusatori hanno fatto appello al voto di leggi speciali per far tacere i revisionisti. Qui hanno firmato la loro sconfitta. Ricorrere a leggi speciali, alla polizia e alla prigione, equivale a confessare la propria impotenza ad utilizzare le argomentazioni della ragione, della storia e della scienza.

Potrebbero essere qui ricordate altre cento argomentazioni che provano che, sul piano della storia e della scienza, non resta più pietra su pietra dell’immenso edificio di menzogne eretto dai seguaci dell’“Olocausto” o della “Shoah”. In contrasto con questo campo di rovine si è visto innalzarsi l’edificio di tutta una letteratura revisionista. Vi si scoprono documenti, fotografie, perizie, trascrizioni di processi, rapporti tecnici e scientifici, testimonianze, studi statistici a iosa, il tutto riguardante cento aspetti della storia della Seconda guerra mondiale che mostrano che cosa sia stata in realtà la sorte degli ebrei europei e che dimostrano in maniera eclatante che la versione ebraica di questa guerra rientra ampiamente nell’ordine del mito. Dal mito, gli ebrei sono arrivati alla mitologia e dalla mitologia alla religione o, piuttosto, a una parvenza di religione. Oggi, i servitori di questa falsa religione assomigliano sempre più a dei preti che continuano a officiare e che ripetono con insistenza le formule sacre ma, manifestamente, senza avere più la fede. Essi non credono più veramente al loro “credo”. È così, per esempio che, da una decina d’anni a questa parte, li si vede consigliare alle loro greggi di osservare la massima discrezione possibile sull’argomento delle camere a gas. Nelle sue memorie il grande testimone falso Elie Wiesel ha scritto nel 1994: “Le camere a gas, è meglio che restino chiuse agli sguardi indiscreti. E all’immaginazione” (Tous les fleuves vont à la mer …, Parigi, Le Seuil, 1994, p. 97 – in italiano: Tutti i fiumi vanno al mare. Memorie, Milano, Bompiani, 2002). Come lui, Claude Lanzmann (autore del film Shoah), Daniel Goldhagen (autore di Hitler’s Willing Executioners – in italiano: I volonterosi carnefici di Hitler, Milano, Mondadori, 1997), Simone Veil (ex-presidente del Parlamento europeo, sopra citata), François Léotard (ex-ministro) stanno diventando da qualche anno stranamente riservati, prudenti o silenziosi sull’argomento. Jacques Attali (uomo d’affari ebreo e storico) ha appena decretato, qualche mese fa: “La stragrande maggioranza degli ebrei assassinati lo è stata dalle armi individuali dei soldati e dei gendarmi tedeschi, tra il 1940 e il 1942, e non dalle officine di morte, allestite in seguito” (“Groupes de criminels ?”, « L’Express », 1° giugno 2006, p. 60). Diventa comune questa maniera implicita di depennare le pretese camere a gas naziste. Si cerca di sostituire la menzogna di Auschwitz con la menzogna di Babi Yar o altri fantasiosi massacri in Ucraina o nei Paesi Baltici ma, non una volta, ci vengono fornite in proposito delle prove scientifiche quali rapporti d’esumazione e d’autopsia come è stato il caso per dei massacri reali perpetrati, quelli, dai Sovietici a Katyn, a Vinnitsa o altrove. Quanto al numero dei morti di Auschwitz, non ci viene detto più tanto che è stato di 9 000 000 (come in Nuit et Brouillard – in italiano: Notte e nebbia), di 8 000 000, di 6 000 000 o di 4 000 000 (come al processo di Norimberga o sulle stele di Auschwitz-Birkenau fino al 1990). Ci si accontenta di 1 500 000 (come su quelle stesse stele dal 1995), o di 1 100 000, o di 700 000 (come scriveva J.-C. Pressac), o ancora di 510 000 (come ha concluso Fritjof Meyer nel 2002: “Die Zahl der Opfer von Auschwitz”, « Osteuropa », maggio 2003, pp. 631-641), non essendo tutte queste cifre più fondate di quelle precedenti.

Conclusione generale

Ci è dato il privilegio di assistere, in quest’inizio del XXI secolo, ad una seria rimessa in discussione di una delle più grandi menzogne della storia. Il mito dell’“Olocausto” ha potuto brillare di mille luci, in realtà si consuma. Esso è servito alla creazione in terra di Palestina di una colonia guerriera che ha assunto il nome di “Stato ebraico” e che si è dotata di un “Esercito ebraico”. Esso impone al mondo occidentale il giogo di una tirannide ebraica o sionista che si esercita in tutti i campi della vita intellettuale, universitaria e mediatica. Esso avvelena fin nell’anima un grande paese, la Germania. Esso ha permesso di estorcere a quest’ultima nonché a molti altri paesi del mondo occidentale delle somme esorbitanti in marchi, dollari o in euro. Esso ci subissa di film, di musei, di libri che tengono vivo il fuoco di un odio dal carattere talmudico. Esso permette di fare appello alla crociata in armi contro “l’asse del male” e, per questo, di fabbricare, su richiesta, le più impudenti menzogne proprio sul modello della Grande Menzogna dell’“Olocausto” perché non c’è nessuna differenza tra le “armi di distruzione di massa” di Adolf Hitler e quelle di Saddam Hussein. Esso permette di accusare quasi il mondo intero e di esigere dappertutto “pentimento” e “riparazioni” a causa, sia di pretese azioni dirette contro “il popolo eletto di Jahvè”, sia di una pretesa complicità nel crimine, sia di una pretesa indifferenza generale alla sorte degli ebrei durante la Seconda guerra mondiale. Esso ha al suo attivo valanghe di processi truccati, a cominciare dall’infame processo di Norimberga. Esso ha autorizzato migliaia d’impiccagioni di soldati vinti, un’atroce Epurazione, la deportazione di milioni di civili scacciati dalla terra dei loro antenati, saccheggi inenarrabili, decine di migliaia di scandalosi procedimenti giudiziari, ivi comprese oggi delle azioni giudiziarie che mirano a degli ottuagenari o nonagenari contro i quali vengono a rendere falsa testimonianza dei “miracolati” ebrei. Questi abomini, questa dismisura nella menzogna e nell’odio, questa hybris che un giorno o l’altro il destino viene sempre a punire, in poche parole, questi eccessi devono finire. Nessun popolo si è mostrato più paziente con questa hybris ebraica o sionista del popolo arabo: ora ecco che persino la pazienza di questo popolo è al limite. Sta per sbarazzarsi del giogo israeliano e far capire all’Occidente che è venuto il momento di ricercare una vera e propria pace invece di sostenere con le armi uno Stato artificiale che si mantiene solo con la forza. Persino in Occidente, persino negli Stati Uniti, certuni aprono gli occhi e si prende coscienza dei rischi che si fanno correre alla comunità internazionale con una sottomissione così prolungata alla falsa religione dell’“Olocausto”, arma n. 1, spada e scudo dello Stato d’Israele.

Conclusione pratica

Esistono dei mezzi pratici per iniziare una vera e propria azione contro questa falsa religione il cui santuario si situa a Auschwitz.

Come si sa, nel cuore di Auschwitz si trova una camera a gas emblematica. Finora circa trenta milioni di turisti l’hanno visitata. Si tratta di un’impostura; tutti gli storici ne sono consapevoli e le autorità del Museo di Stato di Auschwitz lo sanno meglio di chiunque altro. Ora l’UNESCO (organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura, su richiesta del Governo polacco ha iscritto, il 26 ottobre 1979, questo campo nell’elenco dei siti o dei beni culturali (Cultural Property) del patrimonio mondiale, facendosi così carico, di preservarne l’autenticità. Per parte mia, suggerisco dunque che sia presentato un esposto all’UNESCO per questo caso di frode, che costituisce un pregiudizio all’educazione, alla scienza e alla cultura. In maniera più generale, noi potremmo riprendere le parole pronunciate nel 1979 da Jean-Gabriel Cohn Bendit: Battiamoci dunque affinché si distruggano queste camere a gas che si mostrano ai turisti nei campi in cui si sa ora che non ce ne sono affatto” (« Libération », 5 marzo 1979, p. 4).

Esistono altri mezzi pratici per lottare contro la tirannia del mito dell’“Olocausto”, a cominciare dall’annuncio al mondo intero di queste “vittorie revisioniste” che gli sono state finora nascoste. Io confido nei revisionisti presenti a quest’assemblea affinché ci suggeriscano altri mezzi e ne discutano con noi.

Praticando la menzogna su larga scala, i devoti dell’“Olocausto” si sono resi a poco a poco nemici del genere umano. Da più di sessant’anni, essi mettono progressivamente sotto accusa il mondo intero o poco ci manca. Il loro bersaglio principale è stato, certamente, la Germania e tutti coloro che, a fianco di quel paese, hanno ritenuto di dover lottare contro Stalin, nello stesso modo in cui altri, nel campo avversario, pensavano di dover lottare contro Hitler. Ma, nella loro frenesia accusatrice, le organizzazioni ebraiche sono arrivate a biasimare gli Alleati per la loro pretesa “indifferenza” criminale alla sorte degli ebrei europei. Se la sono presa con Roosevelt, Churchill, de Gaulle, Papa Pio XII, il Comitato internazionale della Croce Rossa nonché con molte altre personalità, istanze o paesi per non avere, questi, denunciato l’esistenza delle “camere a gas”. Ma come si sarebbe potuto ritenere assodato ciò che altro non era che una voce grottesca messa in circolazione durante la guerra? Basta leggere l’opera dell’ebreo Walter Laqueur, The Terribile Secret (Londra, Weidenfeld & Nicolson, 1980, 262 pp. – in italiano: Il terribile segreto, Firenze, La Giuntina, 1983) per riscontrarvi una trentina di riferimenti allo scetticismo, perfettamente giustificato, del campo alleato di fronte alla valanga di voci provenienti da fonti ebraiche. Erano state condotte delle inchieste, che avevano permesso di concludere che tali voci erano infondate. Dunque gli Alleati e gli altri accusati hanno dato prova di avvedutezza e non d’indifferenza. È quella stessa avvedutezza che dopo la guerra, nei loro discorsi o nelle loro memorie, hanno testimoniato Churchill, de Gaulle e Eisenhower guardandosi dal menzionare, fosse anche solo una volta, dette “camere a gas”.  

La guerra e la propaganda bellica hanno bisogno della menzogna proprio come le crociate e lo spirito di crociata si nutrono di odio. All’opposto, la pace e l’amicizia tra i popoli non possono che guadagnare con la cura dell’esattezza in materia di ricerca storica, una ricerca che deve potersi esercitare in completa libertà.

Due allegati riguardanti la pretesa camera a gas di Auschwitz-I

1) Testo integrale di ciò che ne ha detto Eric Conan, nel 1995

Altro argomento delicato: che cosa fare delle falsificazioni lasciate in eredità dalla gestione comunista? Negli anni ’50 e ’60, vari edifici che erano scomparsi o erano stati adibiti ad altro  uso, furono ricostruiti con grandi errori, e presentati come autentici. Alcuni, troppo “nuovi” sono stati chiusi al pubblico. Senza parlare di camere a gas per la disinfestazione dai pidocchi, presentate talvolta come camere a gas omicide. Queste aberrazioni sono servite ai negazionisti, che ne hanno tratto l’essenziale delle loro affabulazioni. Significativo è l’esempio del crematorio I, il solo di Auschwitz-I. Nella sua camera mortuaria fu installata la prima camera a gas. Essa funzionò per poco tempo, all’inizio del 1942: l’isolamento della zona, che le gassazioni comportavano, turbava l’attività del campo. Fu dunque deciso, alla fine di aprile del 1942, di trasferire queste gassazioni mortali a Birkenau dove furono praticate, su vittime essenzialmente ebree, su scala industriale. Il crematorio I fu, in seguito, trasformato in rifugio antiaereo, con sala operatoria. Nel 1948, quando fu creato il museo, il crematorio I fu ricostituito in un supposto stato originario. Tutto lì è falso: le dimensioni della camera a gas, la collocazione delle porte, le aperture per il versamento dello Zyklon B, i forni, ricostruiti secondo i ricordi di qualche sopravvissuto, l’altezza del camino. Alla fine degli anni ’70, Robert Faurisson, sfruttò tanto meglio queste falsificazioni quanto più i responsabili del museo si mostravano recalcitranti a riconoscerle. Un negazionista americano ha appena girato un video nella camera a gas (sempre presentata come autentica): lo si vede rivolgersi ai visitatori con le sue “rivelazioni”. Jean-Claude Pressac, uno dei primi a stabilire esattamente la storia di questa camera a gas e delle sue modifiche durante e dopo la guerra, propone di restaurarla allo stato del 1942, basandosi su delle mappe tedesche che egli ha appena ritrovato negli archivi sovietici. Altri, come Théo Klein, preferiscono lasciarla così come sta, ma spiegando al pubblico il travisamento: “la Storia è quella che è; basta raccontarla, anche quando non è semplice, piuttosto che aggiungere artificio su artificio.” Krystyna Oleksy, il cui ufficio direttivo, che occupa il vecchio ospedale delle SS, dà direttamente sul crematorio I, non vi si risolve: “Per ora la si lascia così come sta e non si precisa niente al visitatore. È troppo complicato. Si vedrà più avanti.” (Eric Conan, “Auschwitz : la mémoire du mal”, « L’Express », 19-25 gennaio 1995, pp. 54-69 ; p. 68). Nel suo lungo studio, E. Conan ha voluto mostrare quanto “la memoria” è lontana dalla storia. Lo ha fatto senza rimettere in discussione il dogma dell’“Olocausto”; egli è arrivato ad affermare la sua credenza nell’esistenza dell’arma di distruzione di massa chiamata “camera a gas” e ha posto come esatte e dimostrate delle asserzioni che non hanno il minimo fondamento scientifico. Nondimeno egli ha avuto il coraggio di denunciare delle gravi menzogne tra le quali quella della “camera a gas” emblematica che si presenta oggi ai visitatori di Auschwitz. E osa ammettere che, già alla fine degli anni ’70, io ho avuto ragione sull’argomento. Nel 2005, gli ho chiesto se il suo studio aveva suscitato rettifiche o proteste, in particolare da parte delle autorità del Museo nazionale di Auschwitz e di Krystyna Oleksy. La sua risposta è stata: “Nessuna”.

2) Testo integrale di ciò che si dice in un libretto di CD-Rom con prefazione di Simone Veil

La motivazione [Robert Faurisson] ce l’ha: l’amore esclusivo della verità, tale sarebbe una delle sue ossessioni. Universitario, Robert Faurisson, non smetterà di utilizzare questa garanzia scientifica, pegno per così dire di rispettabilità. Legge Maurice Bardèche. Scopre Paul Rassinier. “Scandaglia” Rimbaud, Lautréamont, Apollinaire. Uomo brillante e colto, egli è nondimeno un provocatore. Negli anni ’70, Robert Faurisson lavora. Abbozza il suo metodo storico-letterario. Si reca presso gli archivi di Auschwitz. Sta per costruirsi lì la sua negazione. Essa poggia su un fatto reale: la camera a gas del campo di Auschwitz I è una “ricostruzione”, poiché è servita come deposito per i farmaci delle SS e come rifugio antiaereo dopo la messa in funzione delle camere a gas di Auschwitz II-Birkenau; ciò che egli ha potuto vedere (e ciò che si può ancora vedere) è una supposta camera a gas. È innegabile. Ciò non toglie che per Robert Faurisson, si tratta di un raggiro di cui gli ebrei sono gli autori (Le Négationnisme (1948-2000). Interviste trasmesse alla radio nazionale « France Culture » sotto la direzione di Jean-Marc Turine. Libretto di Valérie Igounet e Jean-Marc Turine con la prefazione di Simone Veil, Vincennes, Frémeaux et associés, 2001, 48 pagine; pp. 27-28).

Qui di seguito, due disegni di “Chard” tratti da "Prontuario illustrato del revisionista olocaustico" Ed. Effepi, 2004, Genova Tel: 338 9195220 effepiedizioni@hotmail.com 

1° novembre 2006: questo disegno di “Chard” (Françoise Pichard, di Parigi) riceve il secondo premio del concorso internazionale delle caricature dell’“Olocausto” organizzato dall’Iran.

Il professor Bruno Gollnisch aveva semplicemente dichiarato che, sull’argomento delle camere a gas, gli storici dovevano potersi pronunciare liberamente. Egli è stato in un primo tempo sospeso dall’insegnamento per cinque anni dall’Università di Lione-III. Poi, il 7 e 8 novembre 2006, è dovuto comparire dinanzi al tribunale di Lione, costituito dal giudice Fernand Schir e dai suoi due giudici a latere. Pressioni e ricatto l’hanno indotto a cedere e a riconoscere davanti ai suoi giudici l’esistenza del genocidio degli ebrei e delle camere a gas naziste. La sentenza sarà emessa il 18 gennaio 2007. Bisogna sapere che in Francia, la legge vieta la contestazione dell’esistenza dei crimini nazisti contro gli ebrei “anche se [tale contestazione] è presentata sotto forma mascherata o dubitativa o attraverso insinuazione” (Code pénal, 2006, p. 2059). Di conseguenza, in proposito, non bisogna né contestare e nemmeno dare l’impressione di contestare.

F I N E

 
   
 

TESTIMONIANZE OCULARI DELLE GASSAZIONI OMICIDE
Nei campi di concentramento tedeschi durante la seconda guerra mondiale
Prof. Jürgen Graf[1] (2000)

1. Qualche commento di base
Nessuno contesta che gli ebrei furono perseguitati durante la seconda guerra mondiale. Questa persecuzione fu reale e brutale; tuttavia, i ricercatori revisionisti contestano l’esistenza di un programma nazionalsocialista volto ad una distruzione sistematica degli ebrei, o che ci furono campi di sterminio con camere a gas per l’uccisione dei prigionieri ebrei, e che la persecuzione ebbe come conseguenza sei milioni di vite ebraiche. I revisionisti non contestano che gli ebrei furono fucilati nella zona orientale di guerra, essi mettono solamente in discussione il numero delle vittime che viene presentato nella letteratura ufficiale.

Quello che accadde tra il 1941 e il 1945 fu, secondo i revisionisti, un’atrocità che in teoria non è dissimile da altre innumerevoli atrocità registrate nel corso della storia. Troppo spesso è accaduto nel passato che qualche popolazione sia stata discriminata, deportata per essere utilizzata come mano d’opera schiavista, dove molti perirono anche per denutrizione, malattia o esaurimento organico. In quasi tutte le guerre è accaduto che civili siano stati fucilati, e siano stati commessi contro civili altri atti criminali, e di conseguenza, in contrasto con gli storici ufficiali, i revisionisti non accettano che l’”Olocausto” venga considerato “unico”.

Una cosa è certa; se la storiografia ufficiale è nel giusto, si dovrebbe riconoscere l’unicità del crimine non a causa del numero delle vittime; nessuno nega il fatto che il comunismo abbia fatto molte più vittime del nazionalsocialismo, ma a causa del metodo applicato. Omicidi di massa sono stati registrati molte volte nel corso della storia, ma mai in mattatoi chimici. Perciò la questione riguardante l’esistenza o la non esistenza di camere a gas omicide è della massima importanza. Quello che è comunemente descritto come l’”Olocausto” sarebbe stato impossibile senza camere a gas omicide perché i tedeschi non avrebbero avuto i mezzi per realizzare il presunto sterminio sistematico.

2. Le obiezioni più comuni contro il revisionismo
La tesi revisionista deve all’inizio sembrare assurda a chiunque non abbia mai esaminato criticamente l’”Olocausto”. Ogni persona allevata nell’emisfero occidentale ha costantemente sentito dire fin dalla prima infanzia, dello sterminio degli ebrei, delle camere a gas e dei sei milioni; dubitare di ciò, sarebbe come affermare che la seconda guerra mondiale non è mai avvenuta. Nelle discussioni con persone che non hanno mai letto i nostri scritti, i revisionisti sono sempre sfidati con tre comunissime obiezioni che approssimativamente sono le seguenti:

Prima obiezione: dove sono finiti i milioni di ebrei? Per esempio, prima della seconda guerra mondiale, circa tre milioni di ebrei vivevano in Polonia; poi dopo la guerra ce n’erano poche decine di migliaia o centinaia di migliaia al massimo. Questo prova che da 2.5 a 3 milioni di ebrei polacchi furono uccisi dai tedeschi.

Seconda obiezione: nella primavera del 1945, quando le truppe americane liberarono un certo numero di campi di concentramento, essi trovarono pile di cadaveri e scheletri viventi. Tutti hanno visto quelle immagini. Sono tutti falsi hollywoodiani?

Terza obiezione: innumerevoli testimoni oculari hanno descritto lo sterminio nelle camere a gas. Erano tutti mentitori? E’ impossibile per così tanti individui raccontare la stessa storia indipendentemente gli uni dagli altri. Inoltre, molti assassini - il più importante è Rudolf Hoss, il primo comandante del campo di concentramento di Auschwitz - hanno confessato di aver partecipato allo sterminio. Queste confessioni sono state tutte ottenute con la tortura?

Oggi intendo esaminare la terza di queste obiezioni, affrontando le testimonianze oculari. Ma, prima di tutto, alcune brevi osservazioni sulle altre due.

Iniziamo con la questione di cosa sia successo agli ebrei scomparsi, se essi non furono uccisi. Un altro oratore affronterà questo argomento in dettaglio, io mi limiterò a rispondere con un contro argomento facile da comprendere, e di cui sono debitore al ricercatore francese Jean-Marie Boisdefeu:[2]

“Al tempo del regime coloniale in Algeri, circa un milione di francesi vivevano lì. Quando il Fronte di Liberazione Nazionale giunse al potere, il numero si ridusse approssimativamente a 100.000. Questo significa che i partigiani algerini uccisero 900.000 francesi? Certamente no, la risposta è casomai che la maggior parte dei residenti francesi tornarono in Francia spontaneamente prima che l’indipendenza venisse raggiunta. Perciò, l’assenza di ebrei polacchi non è una prova che essi furono tutti uccisi. Non è forse possibile che una gran parte, forse addirittura la maggioranza di essi, sia ancora viva, solo non vivente in Polonia, ma piuttosto in altri paesi?”

I cambiamenti demografici in Polonia, come evidenziato da J. M. Boisdefeu, furono molto più drastici; l’intera metà orientale, dove fino al 1939 visse la maggioranza degli ebrei, fu annessa dall’Unione Sovietica, e per compensazione la Polonia acquisì grandi aree del territorio tedesco - dove quasi nessun ebreo aveva vissuto prima della guerra - rispetto all’Algeria, dove i confini rimasero in gran parte intatti.

Una breve storia, pubblicata il 24 Novembre 1978 sullo State Times (Baton Rouge, Louisiana), spiega molto più vividamente di qualunque complicato studio demografico il destino degli ebrei polacchi, e da questa cito il seguente passaggio:

“Gli Steinberg un tempo prosperavano in un piccolo villaggio ebreo in Polonia. Questo fu prima dei campi della morte di Hitler. Ora più di 200 sopravvissuti disseminati nel mondo e i loro discendenti sono riuniti qui per condividere una speciale celebrazione di quattro giorni che è iniziata, appropriatamente, il giorno del Ringraziamento.
I parenti sono venuti Giovedì dal Canada, dalla Francia, dall’Inghilterra, dall’Argentina, dalla Colombia, da Israele e da almeno 13 città da una parte all’altra degli Stati Uniti. “E’ favoloso”, ha detto Iris Krasnow, di Chicago, “Ci sono qui cinque generazioni, da 3 mesi di età fino a 85 anni. La gente sta festeggiando e si gode un momento meraviglioso. E’ quasi come una riunione di rifugiati della seconda guerra mondiale.”” [STATE TIMES, Baton Rouge, Louisiana, 24 Novembre 1978, p.8].

Passiamo alla seconda obiezione contro il revisionismo, quella concernente le immagini dei cadaveri e degli scheletri viventi che furono trovati nei campi liberati. Quelle immagini non sono affatto falsificazioni prodotte a Hollywood; purtroppo sono vere. Tuttavia tutti gli storici, sia ortodossi che revisionisti, concordano sul fatto che i cadaveri che vediamo in quelle immagini non sono vittime assassinate ma vittime di epidemie e denutrizione. Verso la fine del 1944, la situazione nei campi di concentramento peggiorò pesantemente a causa del tracollo della Germania. La distruzione, attuata con i bombardamenti, del sistema di trasporto portò a carestie di cibo, e i campi occidentali ancora funzionanti finirono col diventare totalmente sovraffollati, a causa del trasferimento di detenuti  dai campi orientali. Si diffusero le epidemie, le quali, a causa delle carestie, non potevano essere tenute sotto controllo cosicché, conseguentemente, il tasso di mortalità a Dachau - per esempio - dall’inizio del Gennaio del 1945 fino alla fine dell’Aprile successivo, fu non minore di 15.384 individui. Una cifra superiore a quella del totale dei cinque anni precedenti! La cifra totale delle vittime dall’inizio del 1940 alla fine del 1944 ammonta infatti a 12.455.[3] Ora, le fotografie suddette non hanno assolutamente nulla a che fare con il cosiddetto “Olocausto”, avvenuto in massima parte nelle camere a gas e che venne interrotto nell’autunno del 1944, secondo gli storici ortodossi. Ma tuttavia tali immagini sono continuamente mostrate per provare l’”Olocausto”, e la “prova dell’esistenza delle camere a gas omicide ad Auschwitz e a Treblinka viene ottenuta in modo fraudolento mostrando le immagini delle vittime della denutrizione, del tifo e della dissenteria. Queste sono alcune delle buffonate utilizzate dai rappresentanti della storiografia ufficiale.

3. Il valore delle testimonianze oculari nella letteratura ufficiale dell’”Olocausto”
Il libro di Raul Hilberg, La distruzione degli ebrei europei,[4] è considerato l’opera più completa sull’”Olocausto”. La persecuzione degli ebrei europei, vale a dire le politiche antiebraiche messe in opera dai tedeschi e dai loro alleati, è trattata in centinaia di pagine dei tre volumi, completi di note a piè di pagina riguardanti le fonti. Tuttavia questo libro non è intitolato La persecuzione degli ebrei europei, il titolo è La distruzione degli ebrei europei, ed è perciò fuorviante, perché solo una porzione insignificante di quest’opera gigantesca affronta le fondamenta dell’”Olocausto”, e cioè la pretesa distruzione degli ebrei nei campi di sterminio. Nell’edizione tedesca di questo libro, Hilberg affronta lo “sterminio” soltanto in 19 delle 1351 pagine complessive. Aggiungendo le 11 pagine che si occupano della “evacuazione dei campi di sterminio”,  abbiamo un totale di 30 pagine, poco più del 2% riguardante lo sterminio degli ebrei. Il lettore attento di quelle 30 pagine, comprese le note, presto si rende conto che Hilberg basa il suo racconto esclusivamente su resoconti di testimoni oculari e non su documenti. Perché? Perché come non esistono documenti che descrivano la costruzione e il funzionamento delle camere a gas omicide, così non esistono documenti riguardanti un piano tedesco per lo sterminio fisico degli ebrei.

Il libro Le crematoires d’Auschwitz,[5] pubblicato nel 1994 per la penna del ricercatore francese Jean-Claude Pressac, venne salutato dal mondo occidentale come la confutazione del revisionismo. Pressac promette nella prefazione di non basarsi sulle “sempre insoddisfacenti” testimonianze oculari, ma piuttosto sui documenti.[6] Ma il lettore poi scopre con sua sorpresa, che invece Pressac si basa sui resoconti dei testimoni oculari come una fonte attendibile ogni volta che descrive le gassazioni omicide!

Nel 1996 il francese Jacques Baynac fu il primo rappresentante della versione ortodossa dell’”Olocausto” a riconoscere che non esiste prova scientifica dell’esistenza delle camere a gas omicide nei campi di guerra nazionalsocialisti. Egli scrive:

“Per uno storico scientifico, la testimonianza oculare non rappresenta la vera storia. E’ piuttosto un oggetto della storia. Una singola testimonianza oculare non ha molta importanza, e molte testimonianze non pesano molto di più, perché nessuna di loro è basata sui documenti. Il postulato della storiografia scientifica deve essere, senza esagerazione: Niente documenti, niente prove.[7]”

4. I tre tipi di prova
L’accusa maligna riguardante gli stermini, rivolta al popolo tedesco per oltre mezzo secolo, è basata solamente su resoconti di testimoni oculari. Noi revisionisti non siamo rimasti convinti da tali resoconti. Il nostro metodo è di investigare il destino degli ebrei durante la seconda guerra mondiale nello stesso modo in cui vengono investigati gli altri eventi storici, un metodo accettato in criminologia, il che significa che esiste un ordine d’importanza riguardante le prove: la prova materiale viene per prima, la prova documentaria è la successiva, e i resoconti dei testimoni oculari vengono per ultimi.[8]

Permettetemi di dimostrare questo con un semplice esempio. Un uomo è stato accoltellato a morte; l’arma del delitto, un coltello con tracce di sangue e impronte, è stato trovato vicino al cadavere. Un testimone oculare accusa il signor X. All’inizio dell’indagine la polizia ha fatto esaminare il coltello per vedere se il gruppo sanguigno della vittima è lo stesso di quello del sangue sul coltello, se la ferita può essere stata causata da quel coltello, e se le impronte sull’impugnatura sono quelle dell’accusato. Se i risultati di quest’indagine sono contrari al resoconto del testimone oculare, è il risultato dell’indagine a fare testo. Se, per esempio, le impronte sull’impugnatura non sono quelle del signor X e se l’investigatore accerta che la ferita inferta dalla pugnalata è stata fatta da una persona che ha usato la mano destra, mentre il signor X è mancino, l’investigatore concluderà che il testimone oculare si è sbagliato (forse perché il signor X è somigliante al vero assassino), o che ha mentito di proposito perché egli e il signor X sono nemici, ed egli desiderava danneggiare il signor X accusandolo di omicidio.

Ci sono buone ragioni da parte dei procuratori per considerare inaffidabili i resoconti dei testimoni oculari. Primo, la memoria umana è imperfetta perché è sempre possibile che un testimone mescoli quello che ha vissuto con quello che ha letto o ascoltato successivamente. In secondo luogo, le emozioni, fattori come le simpatie e le antipatie, spesso giocano un ruolo. Da un punto di vista legale, bisogna distinguere tra resoconti di testimoni parziali e imparziali. Se, per esempio, un testimone imparziale descrive un incidente d’auto, la polizia darà, nel dubbio, più credito alla sua testimonianza che a quella degli automobilisti coinvolti perché essi probabilmente si chiameranno in causa l’uno con l’altro.

La prova documentaria, come già detto, si colloca tra la prova materiale e la testimonianza oculare. Due esempi, che non riguardano l’argomento dell’”Olocausto”, mostreranno il perché. Il primo esempio dimostrerà la superiorità della prova obbiettiva rispetto ai documenti:

Supponiamo che gli archeologi trovino un documento che fa apparire una città in un luogo dove oggi non c’è nient’altro che un terreno apparentemente non rimosso. Iniziano gli scavi ma non viene trovato nulla. Poiché persino dopo migliaia di anni dovrebbero esservi ancora delle tracce, il documento deve essere considerato errato. La prova obbiettiva, poiché non vi sono rovine della città, prevale sul documento; il documento non ha registrato una realtà storica, ma una leggenda. Il documento in sé stesso può essere autentico, ma il contenuto è difettoso.

Il secondo esempio dimostra la superiorità della prova documentaria sulla testimonianza oculare. Supponiamo che un uomo venga accusato di aver commesso un crimine in una città in un determinato momento. Egli nega di essere stato presente in quella città in quel momento, e presenta un testimone oculare che giura che entrambi erano andati a fare una gita in montagna e non hanno incontrato nessuno. Ma poi la polizia trova, nella città dove il crimine è stato commesso, il conto di un albergo che mostra la data del crimine e la firma dell’accusato. Così, a causa della prova documentaria, si dimostra che il testimone oculare è un mentitore. Si può presumere che abbia mentito per proteggere il suo amico, o che sia stato pagato per farlo.

Questo semplice esempio dimostra l’inaffidabilità delle testimonianze oculari; e poiché l’accusa dello sterminio di milioni di persone in mattatoi chimici si basa esclusivamente su testimonianze oculari, bisogna essere sospettosi, specialmente perché i testimoni non sono imparziali, ma sono quasi esclusivamente ex detenuti ebrei dei campi di concentramento, che soffrirono durante il loro internamento, e da cui difficilmente ci si può aspettare obbiettività nei confronti di coloro che li imprigionarono.

5. Le testimonianze oculari contro le prove materiali e documentarie
Abbiamo appena mostrato quali metodi la polizia userebbe per risolvere un crimine ordinario, non politico. Posti di fronte a un crimine straordinario e mostruoso come l’”Olocausto”, si deve presumere che le potenze vittoriose abbiano fatto qualsiasi cosa in loro potere per preservare le prove di questo crimine subito dopo che i campi vennero liberati. Sarebbe stato cruciale ottenere perizie: in che modo l’arma del delitto venne usata, che tipo di gas venne usato, e in quali attrezzature. I sovietici catturarono i campi di Auschwitz e Majdanek quasi indenni—le strutture che furono presuntamene utilizzate come camere a gas erano in parte intatte, in parte in rovina. Secondo le testimonianze oculari, in entrambi i campi venne usato per lo sterminio l’insetticida Zyklon B, contenente blu di Prussia (a Majdanek vennero presuntamente utilizzate piccole dosi di monossido di carbonio, dai container).

Chimici, ingegneri e architetti avrebbero dovuto esaminare immediatamente i fabbricati, secondo criteri strettamente scientifici, per accertare se lo sterminio fosse stato possibile nelle modalità e nei tempi descritti dai testimoni oculari. Inoltre, le strutture presuntamente utilizzate come camere a gas omicide avrebbero dovuto essere esaminate per accertare se potevano essere state utilizzate a quello scopo. Successivamente si sarebbero dovuti esaminare i crematori per vedere se potevano aver trattato il numero presunto di cadaveri, e gli esperti avrebbero dovuto controllare se c’erano tracce di fosse di cremazione, etc.

Niente di tutto ciò è accaduto. E’ vero, una commissione sovietica, subito dopo la liberazione di Majdanek (nel Luglio del 1944), esaminò qualcosa e scrisse un rapporto,[9] ma questo rapporto non è nemmeno menzionato dalla letteratura ufficiale dell’”Olocausto”, perché gli esperti sovietici si comportarono in modo fin troppo impreciso e fraudolento.[10] Ad esempio, la presenza dei recipienti di Zyklon B venne considerata quale prova delle gassazioni omicide, sebbene fosse largamente risaputo che questo insetticida veniva utilizzato in quasi tutti i campi di concentramento, come pure sui fronti di guerra, per combattere i pidocchi che diffondevano il tifo. Venne anche venduto all’estero. Nel 1943 ad esempio, dodici tonnellate di Zyklon B vennero vendute all’esercito finlandese, e nessuno nell’esercito finlandese afferma che venne usato per sterminare ebrei.[11]Di conseguenza, la mera presenza di recipienti di Zyklon B non è una prova che degli esseri umani venissero gassati, esattamente come la disponibilità di un’accetta in una famiglia non prova che un crimine vi sia stato commesso.

A parte questo, le potenze vittoriose non si sono mai preoccupate di fornire una prova materiale dei pretesi stermini nelle camere a gas. Mai, né a Norimberga, né in nessuno dei numerosi processi ai nazisti nella repubblica federale di Germania, è stata mai fornita una perizia che riguardasse la presunta arma del delitto.
I revisionisti hanno fatto quello che gli accusatori dei tedeschi hanno sempre trascurato di fare. Prima di tutto hanno studiato i progetti delle presunte camere a gas di Auschwitz e Majdanek, scoprendo che i locali dove gli esseri umani sarebbero stati presuntamente gassati erano in realtà camere mortuarie o seminterrati dove deporre cadaveri, mentre le camere a gas di Majdanek furono costruite come tali, ma non per uccidere esseri umani, bensì per la disinfestazione dei vestiti. Successivamente, i revisionisti hanno cercato di accertare se fosse tecnicamente possibile modificare questi locali in modo tale da utilizzarli per gli stermini con lo Zyklon B. Essi sono giunti alla conclusione che questo non era possibile, in parte a causa di ragioni chimiche o tecniche.[12] Se tali conclusioni sono erronee, i nostri avversari avevano molte opportunità per correggerle e discuterle nelle proprie analisi. Nulla di tutto ciò è accaduto fino ad oggi. Come mai?

Ricapitoliamo: l’esame dei progetti tedeschi dimostra che le attrezzature identificate dai testimoni oculari come camere a gas omicide, non erano state pianificate o costruite per quello scopo, e ulteriori analisi tecniche e chimiche confermano che gli stermini con lo Zyklon B sarebbero stati impossibili in quelle attrezzature.
Le prove documentarie e materiali contraddicono le testimonianze oculari.

Permettetemi di citare due esempi ulteriori dalla tematica dell’”Olocausto”. Nel primo, la testimonianza oculare è confutata utilizzando la prova materiale; nel secondo, per mezzo della prova documentaria.

Secondo la storiografia ufficiale, tra la metà di Maggio e l’inizio di Luglio del 1944, furono uccisi da 180.000 fino a 400.000 ebrei ungheresi  - il numero delle vittime è variabile, dipendendo dalle fonti - nelle camere a gas di Auschwitz-Birkenau.[13] Tutti concordano sul fatto che i crematori non avrebbero mai potuto trattare un tal numero di cadaveri, perciò secondo i testimoni oculari, un gran numero di cadaveri venne bruciato in fosse all’aperto. Durante questo periodo, Auschwitz-Birkenau venne ripetutamente fotografata dagli aerei di ricognizione alleati. La fotografia più importante è quella del 31 Maggio 1944: si presume che quel giorno arrivarono a Birkenau 15.000 ebrei ungheresi, e 180.000 erano arrivati nelle due settimane precedenti, per una media giornaliera di 13.000 unità. Ora, non c’è traccia dei pretesi stermini e delle cremazioni di massa nella fotografia del 31 Maggio:[14] nessun segno di fosse o di mucchi di terra; nessun segno di file di fronte al crematorio e alle presunte camere a gas; nessun cielo oscurato dal fumo come descritto dai testimoni. Stessa cosa esaminando le restanti fotografie. Così, le testimonianze oculari sono smascherate come false; lo sterminio degli ebrei ungheresi ad Auschwitz-Birkenau non ha mai avuto luogo. (Secondo i revisionisti, Auschwitz fu un campo di transito per la maggior parte degli ebrei ungheresi e questa tesi può essere parzialmente comprovata con documenti).

Nel secondo esempio che sto per fornire, le testimonianze oculari sono demolite dai documenti. Secondo i testimoni, i bambini piccoli venivano uccisi ad Auschwitz, perché  non erano in grado di lavorare. Tuttavia, all’inizio di Aprile del 2000, Carlo Mattogno ed io abbiamo trovato un elenco in un archivio di Mosca che era stato compilato da quattro medici ebrei detenuti poco dopo la liberazione di Auschwitz, per ottemperare ad una richiesta dei sovietici. Si tratta di un elenco di nomi di oltre 1000 prigionieri ebrei che i tedeschi avevano considerato fisicamente non idonei ad essere rimossi dal ricovero in ospedale. Vi erano inclusi i nomi di 97 bambini ebrei e di 83 bambine di età compresa tra i pochi mesi e i 15 anni.[15] Ora, se bisogna credere ai testimoni oculari, quei bambini avrebbero dovuto essere uccisi come inutili consumatori di cibo, e non avrebbero dovuto essere ricoverati in ospedale.

6. Ci sono davvero “migliaia di testimoni”?
Una persona di media intelligenza, messa di fronte agli argomenti dei revisionisti, non discuterà la superiorità delle prove materiali e documentarie nei confronti dei testimoni oculari, ma insisterà che è impossibile che “migliaia di testimoni” abbiano mentito. Perciò le storie delle camere a gas devono essere essenzialmente vere anche se il numero delle vittime è stato gonfiato. Questo argomento ha un difetto fondamentale. Non ci sono “migliaia di testimoni”. In un processo tenutosi nell’Aprile di quest’anno contro il revisionista svizzero Gaston-Armand Amaudruz, a Losanna, si presentarono due ex detenuti ebrei di un campo di concentramento, Toman e Klein; il primo come querelante, e il secondo come testimone per l’accusa. La stampa riportò che erano testimoni delle camere a gas. Ma in realtà nessuno dei due per loro propria ammissione aveva mai assistito ad una gassazione. Essi osservarono molte persone entrare nelle camere a gas e non uscirne (Toman e Klein affermarono inoltre di aver visto in continuazione eruttare fiamme dai camini del crematorio, cosa impossibile, come ogni esperto potrà attestare). I due ebrei del processo Amaudruz sono un tipico esempio di molti dei cosiddetti testimoni delle cosiddette camere a gas. Essi hanno riferito soltanto quello che hanno sentito da altri o che hanno letto. Il numero dei testimoni che realmente hanno descritto delle gassazioni, si contano in poche dozzine al massimo. Da decenni, leggendo la letteratura dell’”Olocausto”, spuntano gli stessi nomi: Hoss, Broad, Vrba, Muller, Tauber, Dragon, Nyiszli, Bendel, Gerstein, Wiernic, e pochi altri. Se uno vuole esaminare la credibilità di questi testimoni, come ho fatto nel mio libro Auschwitz: confessioni dei perpetratori e testimoni dell’Olocausto,[16] ha davanti a sé un compito risolvibile, poiché ha soltanto bisogno di concentrarsi su pochi resoconti. L’intero “Olocausto” dipende dalla loro credibilità.

7. Davvero i resoconti dei testimoni oculari concordano tra loro?
Gli avversari del revisionismo affermano che i revisionisti utilizzano piccole discrepanze nelle testimonianze oculari, enfatizzate oltre misura, per negare il crimine più orrendo della storia umana. Essi sostengono che le testimonianze oculari concordano nei punti decisivi, e perciò, le piccole discrepanze sono secondarie. Riguardo a questa questione, permettetemi di citare l’antirevisionista italiana Valentina Pisanty:
“Non credere al genocidio equivale dunque a negare che si sia consumato un omicidio anche qualora il colpevole sia stato udito chiaramente gridare <<sto andando ad ammazzare Rossi>> (dopo aver pubblicato un libro su come intendeva far fuori Rossi), Rossi sia scomparso, e decine di testimoni abbiano assistito alla sua uccisione. Se, durante il processo, due testimonianze si dimostrano discordanti circa il colore della cravatta dell’assassino, o se un testimone dice che l’uccisione è avvenuta alle 17:35 mentre l’altro giura che il suo orologio segnava le 17:40, se ne conclude forse che l’omicidio non ha avuto luogo e che Rossi se la sta spassando su qualche spiaggia delle Maldive (…)?”[17]

Bene, in realtà le testimonianze oculari sono molto più contraddittorie di quanto la signora Pisanty presuma. Ad esempio, a Belzec, dove furono presuntamente uccisi 600.000 ebrei, i testimoni hanno descritto non meno di otto differenti metodi di uccisione, metodi che vanno da una piastra metallica in una cisterna sotterranea, nella quale gli ebrei sarebbero stati uccisi mediante elettricità; ai treni nei quali gli ebrei erano rinchiusi per poi venire immersi nella calce viva, che maciullava lentamente la carne dalle loro ossa, fino alle uccisioni con motore diesel in una baracca.[18] Il revisionista italiano Carlo Mattogno chiosa sarcasticamente l’argomentazione della Pisanty nel modo seguente:

“Al processo di appello si è scoperto che il giudice di primo grado aveva commesso gravissime violazioni delle norme procedurali: le testimonianze dell’accusa presentavano ben altre anomalie. Un testimone aveva dichiarato che il signor Rossi era stato ucciso in una “camera a vapore”, un altro aveva giurato che era stato asfissiato con il cloro, un altro ancora aveva menzionato come arma del delitto una “sostanza nera” non meglio definita, un altro giurava che il signor Rossi era stato folgorato su una piastra metallica, suscitando le ire di un testimone che lo aveva visto con i propri occhi scendere in una cisterna riempita a metà d’acqua ed essere folgorato lì, un altro ancora aveva osservato che l’omicidio era stato consumato asfissiando il signor Rossi con l’ossido di carbonio, ma un altro testimone, più attento, aveva notato che la vittima era morta perché dalla sua stanza era stata pompata via l’aria. Il giudice si è giustificato affermando che le testimonianze oculari si dimostravano concordi su un “nucleo essenziale”: tutte dicevano che il signor Rossi era stato ucciso.”[19]

In mezzo a tutto questo va anche ricordato che il corpo del signor Rossi non venne mai trovato, proprio come i corpi dei milioni di vittime presuntamente uccise nei campi non furono mai ritrovati; non una traccia, non cenere, non frammenti di ossa, non denti…

Nei primi anni di guerra, vennero anche diffuse storie contraddittorie riguardanti i metodi di sterminio ad Auschwitz. In quei racconti, preparati dalla resistenza polacca come propaganda di guerra, lo Zyklon B non venne mai menzionato; i testimoni parlavano piuttosto di gas velenoso, bagni elettrici, o di un martello pneumatico, quando descrivevano l’arma del delitto.[20] Sei giorni dopo la liberazione del campo, il 2 Febbraio del 1945, il reporter ebreo Boris Polevoi, scrisse sulla Pravda che ad Auschwitz centinaia di prigionieri erano stati simultaneamente fulminati su un trasportatore a nastro. La Pravda trovò anche delle camere a gas ad Auschwitz, sebbene nel posto sbagliato; non nella parte occidentale del campo di Birkenau, ma nella parte orientale. Molto presto il trasportatore a nastro fulminante e le camere a gas nella parte orientale scomparvero per sempre nel bidone della spazzatura della storia e nei rapporti successivi emerse una variante radicalmente nuova:

Si ritiene che a Birkenau, lo sterminio venne commesso con l’insetticida Zyklon B nei crematori, come pure in due fabbricati agricoli.

8. Come vennero coordinati i testimoni oculari
Sin dal Febbraio del 1945, i testimoni concordano sul fatto che ad Auschwitz, lo Zyklon B venne usato come arma del delitto, anche se essi si contraddicono reciprocamente su molte altre questioni. Quando si guarda più da vicino a questi resoconti, ci si accorge presto che essi contengono molte assurdità tecniche e scientifiche che finiscono per privarli di ogni credibilità. Fatemi citare appena un esempio: il tempo stabilito per la cremazione dei cadaveri è irrealisticamente breve. Oggi, in un moderno crematorio, il tempo necessario per cremare un cadavere in un forno con una muffola, è di circa un’ora; si ritiene che lo stesso tempo valga per i crematori di Auschwitz-Birkenau.[21] I testimoni di Auschwitz menzionano tempi molto più brevi; Dov Paisikovic, ad esempio, afferma che la cremazione di un cadavere richiedeva circa quattro minuti![22] Rudolf Hoss, il primo comandante di Auschwitz scrisse nelle sue annotazioni compilate durante la propria prigionia in Polonia, che tre cadaveri venivano cremati simultaneamente in una muffola in venti minuti.[23] Poiché ci vuole un tempo tre volte superiore per cremare un singolo cadavere, il tempo menzionato da Hoss è nove volte più basso di quello necessario, ma questo non ha impedito a nessuno dei testimoni di ripetere questa favola nel corso degli anni, come ad esempio nel libro di Philip Muller, pubblicato nel 1979, in cui si afferma che tre cadaveri venivano cremati in venti minuti![24] I sostenitori della versione ortodossa dell’”Olocausto” sono nel giusto quando affermano che è impossibile che così tanti testimoni, indipendenti l’uno dall’altro, siano arrivati a dare la stessa versione dei fatti, ma i testimoni non vi sono arrivati indipendentemente.

Poco dopo la liberazione del campo, la testimonianza degli ex detenuti venne coordinata dai sovietici, cosa che può facilmente essere verificata. Dal 14 di Febbraio all’8 Marzo del 1945, una commissione sovietica prese nota di tutte le atrocità commesse ad Auschwitz. In questo rapporto la commissione asserisce che non meno di 4 milioni di persone furono uccise ad Auschwitz.[25] La direzione del Museo di Auschwitz ha concordato con questa cifra assurda fino all’inizio del 1990. Oggi essi parlano di 1.5 milioni di vittime, una cifra che è ancora dieci volte troppo alta. Leggendo le testimonianze oculari fornite dal 1945, ci si trova sempre di fronte la cifra dei 4 milioni, da cui siamo forzati a concludere che la commissione istruì i primi testimoni sulla cifra da citare, dopodichè i testimoni successivi copiarono semplicemente tale cifra.

Questo spiega molte delle assurdità che appaiono nei resoconti dei testimoni—ad esempio l’assurdità dei tempi di cremazione e gassazione. Se 4 milioni di persone furono uccise ad Auschwitz e i loro cadaveri cremati senza lasciare neppure una traccia, allora le camere a gas e i crematori devono essere rimasti in funzione senza interruzione e con una velocità da record!

9. I testimoni ebrei crollano all’istante quando vengono contro interrogati
Il ricercatore francese, professor Robert Faurisson, è stato il primo ad evidenziare questo importante aspetto riguardante i resoconti dei testimoni: nei processi ordinari quotidiani, gli avvocati difensori contro-interrogano il testimone. Se il testimone mente, le magagne vengono scoperte. Ma durante tutti questi anni, questa procedura non è mai stata usata quando i “Testimoni delle Camere a Gas” ebrei venivano intervistati. Questi mentitori potevano andare da un processo all’altro e viaggiare da una conferenza all’altra per raccontare le loro favole graziose perché nessuno osava avanzare delle osservazioni critiche.[26] Sin dal 1945, mettere in discussione la credibilità di un testimone ebreo è stato proibito, perché far questo significherebbe perseguitare di nuovo i pochi che sono riusciti nel miracolo, sfuggire alle camere a gas!

Nel 1946, il difensore dr. Otto Zippel, in un processo tenutosi in Gran Bretagna contro il dr. Bruno Tesch e contro Karl Weinbacher, fu forse il primo avvocato che osò porre qualche osservazione critica ad un testimone ebreo. Tesch e Weinbacher erano dei rappresentanti dell’Associazione Tedesca per l’Eliminazione degli Insetti Nocivi, che produceva lo Zyklon B, lo stesso insetticida che salvò le vite di decine di migliaia di detenuti ad Auschwitz, uccidendo i pidocchi che diffondevano il tifo. Durante il processo, l’ebreo rumeno Charles Sigismund Bendel, testimone dell’accusa, testimoniò che 4 milioni di persone erano state uccise ad Auschwitz con lo Zyklon B. Nel Crematorio IV, 1000 persone sarebbero state presuntamente assembrate in una stanza misurante 10 metri in lunghezza, 4 metri in larghezza e 1.6 metri in altezza, e quindi sarebbero state sterminate con il gas. Quando il dr. Zippel chiese come fosse possibile collocare 1000 persone in una stanza di 64 metri cubi, Bendel rispose: “Ci si poteva riuscire soltanto con metodi tedeschi”. Zippel proseguì: “Lei crede sul serio che 10 persone possano essere collocate in ½ metro cubo?”. Risposta di Bendel: “I 4 milioni di gassati ad Auschwitz sono testimoni di tutto ciò.”[27] Così, il contro-interrogatorio ebbe termine. Il dr. Tesch e Weinbacher, accusati di aver collaborato all’uccisione di 4 milioni di persone, furono condannati e impiccati sulla base della testimonianza di Bendel.

Nel 1985, quasi quattro decenni più tardi a Toronto, Canada, in un processo contro il revisionista Ernst Zundel, i testimoni ebrei della “camera a gas” dovettero affrontare un legale che li contro-interrogò impietosamente. Testimone per la difesa era il famoso dr. Rudolf Vrba, un ebreo slovacco che fuggì da Auschwitz nel 1944 e insieme al suo compagno ebreo Alfred Wetzler, scrisse un resoconto riguardante tale campo che fu pubblicato a New York nel Novembre del 1944, come parte di un rapporto del War Refugee Board. Nel suo libro I cannot Forgive, pubblicato nel 1964, egli descrive come nel Gennaio del 1943, per celebrare la visita del Reichsfuhrer delle SS Heinrich Himmler, il primo crematorio di Auschwitz-Birkenau venne inaugurato con la gassazione di 3000 ebrei[28]. (Vrba ovviamente non è preoccupato dal fatto che il primo crematorio di Birkenau entrò in funzione nel Marzo e non nel Gennaio del 1943, e che l’ultima visita di Himmler fu nel Luglio del 1942). Nel corso del processo Zundel, tra l’avvocato di Zundel, Douglas Christie e Vrba ebbe luogo il dialogo seguente:

Christie: Mi piacerebbe di chiederle, se lei lo vide davvero arrivare nel Gennaio del 1943, oppure questo è solo…
Vrba: Nel Settembre del 1943 o in Gennaio?
Christie: Nel suo libro viene detto Gennaio del 1943.
Vrba: No, io lo vidi nel Luglio del 1943 e poi nel 1943…
Christie: Ma qui viene detto Gennaio del 1943.
Vrba: Questo deve essere un errore.
Christie: Un errore?
Vrba: Sì.
Christie: Bene, bene. Ma in tale occasione lei lo ha visto arrivare?
Vrba: La prima volta, lo vidi arrivare perché egli era vicino a me come lei lo è ora. (…) Senza cortesia, egli fece un passo per venire più vicino.
Christie: Bene, bene.
Vrba: La seconda volta lo vidi in un’automobile, la stessa della prima volta. (…) Forse era lui, forse era solo il suo sostituto, non penso che importi.
(…)
Christie: Lei sta dicendo a questa corte che lei vide davvero Heinrich Himmler guardare attraverso uno spioncino in una camera a gas?
Vrba: No, non ho mai detto di essere stato presente quando egli guardò nella camera a gas, solo che ho messo insieme una storia che ho ascoltato molte volte da numerose persone che erano state presenti e che mi dissero tutto. (…)
Christie: Ma nel suo libro lei scrive che LEI ha visto tutto e lei non dice che sta scrivendo una diceria.
Vrba: In questo caso, ho scritto una diceria.[29]

Vrba infine ammise di aver usato una “licenza poetica” quando scrisse il libro.

10. Le “confessioni dei perpetratori”
E’ un fatto risaputo che si possa costringere un prigioniero indifeso ad ammettere qualsiasi cosa. Nella caccia alle streghe europea del medioevo, numerose donne ammisero di cavalcare scope per aria e di avere rapporti con il Diavolo. Era un fatto ordinario, dopo la guerra, estorcere confessioni ai tedeschi mediante tortura. Un esempio è la confessione del primo comandante di Auschwitz, Rudolf Hoss, il quale ammise in una prigione inglese, che fino al Novembre del 1943, mentre era responsabile di Auschwitz, 2.5 milioni di persone erano state uccise, e ulteriori 500.000 sarebbero morte di denutrizione e malattie.[30] Questo rappresenta il doppio delle persone portate ad Auschwitz tra il 1940 e il 1945! Hoss affermò inoltre di aver visitato il campo di Treblinka nel Giugno del 1941, ma in realtà il campo di Treblinka venne insediato solo 13 mesi più tardi, nel Luglio del 1942! Lo scrittore Rupert Butler, nel suo libro Legions of Death pubblicato nel 1983,[31] disse come gli inglesi ottennero le confessioni di Hoss: torturandolo per 3 giorni! In altri casi è stata usata una tattica più astuta: in cambio della libertà o di un giudizio più mite, l’accusato ammetteva i presunti crimini. Un esempio classico è l’uomo delle SS Pery Broad, che espletò i suoi obblighi ad Auschwitz e venne catturato dagli inglesi. Poi, poiché parlava inglese, lavorò come interprete e più tardi scrisse un rapporto in cui afferma che ad Auschwitz, venne commesso lo sterminio di più vasta scala registrato dalla storia.[32] Di conseguenza, gli inglesi avrebbero potuto fucilarlo o impiccarlo, o imprigionarlo a vita, poiché ogni tedesco e specialmente il personale delle SS era considerato fuorilegge—ma niente di tutto questo accadde—egli fu liberato!

Quasi lo stesso accadde nei processi ai nazisti in Germania. Nessuno si preoccupò di verificare se il preteso sterminio fosse stato effettivamente commesso— venne invece determinata soltanto la colpevolezza degli individui. La negazione dello sterminio avrebbe messo l’accusato in una situazione senza speranza, poiché egli sarebbe stato classificato come un “mentitore non pentito”. Questo è il motivo per cui la maggior parte degli accusati non ha mai negato le sterminio degli ebrei nelle camere a gas, ma al massimo la propria personale colpevolezza, e se essi venivano contraddetti dai testimoni, allora affermavano di aver obbedito agli ordini.[33]

Ecco come si sono prodotte le “testimonianze oculari” e le “confessioni dei perpetratori” e come sono state utilizzate come prova dei milioni di sterminati nelle camere a gas. Se questi stermini fossero realmente avvenuti, non avremmo bisogno di basarci su quelle confessioni e su quelle testimonianze—dopo tutto, non abbiamo bisogno di confessioni o di resoconti di testimoni per provare che gli americani gettarono bombe atomiche sul Giappone nel 1945.

Permettetemi di evidenziare un’ulteriore controversia, tra le più grottesche, nell’immagine ufficiale dell’”Olocausto”. Gli storici ortodossi, quando viene loro chiesto come mai non esistono documenti riguardanti lo sterminio degli ebrei, e come mai non vi sono sepolture di massa nei “campi di sterminio”, rispondono che i tedeschi cercarono di cancellare le prove; questo è il motivo per cui non scrissero nulla al riguardo e distrussero ogni documentazione esistente. Essi avrebbero incenerito i cadaveri dei gassati e disperse le ceneri e i frammenti di ossa. Questo è il motivo per il quale abbiamo sentito i racconti degli stermini da “innumerevoli testimoni oculari”. Questi eminenti “storici” sono incapaci di spiegare perché i tedeschi non si sbarazzarono di questi “innumerevoli testimoni oculari”. Ogni ebreo che lasciò vivo un campo di concentramento porta testimonianza al fatto che i tedeschi non ebbero mai l’intenzione di sterminare tutti gli ebrei.  Nel Febbraio di quest’anno ho scoperto un rapporto di un ebreo polacco, Samuel Zylbersztain, sopravvissuto a non meno di dieci campi di concentramento: il campo di “sterminio” di Treblinka, il campo di “sterminio” di Majdanek, e otto campi più “comuni”.[34] Gli ebrei vogliono che noi crediamo che questi rapporti di testimoni oculari sono la prova che l’”Olocausto” è avvenuto, quando invece essi sono la prova dell’esatto contrario!

11. Un professore universitario ebreo commenta il valore delle testimonianze oculari
Ultimamente, la propaganda dell’”Olocausto” ha preso enormi proporzioni nel mondo occidentale. La stragrande maggioranza delle persone crede basilarmente nella versione ufficiale dell’”Olocausto”, perché è quello che si legge sui giornali, che si ascolta alla radio, e si vede in televisione. Ma la gente è stufa di quest’argomento. Ultimamente , i sionisti stanno usando le sofferenze, reali o immaginarie, del proprio popolo non solo come una scusante per opprimere i palestinesi, e occupare illegalmente il territorio arabo, ma anche per estorcere denaro a un certo numero di paesi, cosa che infastidisce molte persone. David Irving, lo storico inglese, afferma chiaramente per quale motivo l’antisemitismo è in ascesa nel mondo occidentale:

“Cosa c’è in loro che genera così tanto odio? Essi farebbero bene a pensarci. Non c’è dubbio che essi sono odiati al giorno d’oggi, in parte, a causa di tutta la “propaganda dell’Olocausto” che essi diffondono costantemente. E’ diventato impossibile questi giorni aprire un giornale o guardare un programma televisivo senza imbattersi nell’Olocausto. Olocausto, Olocausto, Olocausto, dovunque Olocausto. L’Olocausto ha “dirottato” tutti i media in tutta la cultura occidentale. Il mondo è stufo. La gente sta perdendo la pazienza ed è soggetta a ricorrere ad atti di violenza contro gli ebrei. Se gli ebrei non si fermano, essi possono aspettarsi un Olocausto reale.”[35]

Gli ebrei intelligenti si accorgono che le deprecabili politiche dei leader ebrei, giustificate con le “camere a gas” e i “sei milioni”, sono responsabili dell’ascesa dell’antisemitismo e potrebbero condurre a dei pogrom di un livello che il mondo non ha mai conosciuto. Il professore universitario ebreo Norman Finkelstein, i cui genitori furono internati nei campi di concentramento durante la guerra, ha portato, a causa di ciò, un feroce attacco contro l’industria dell’Olocausto. Egli ha scritto:

“Io non ricordo un solo amico (o genitore di un amico) fare una sola domanda su quello che mia madre e mio padre hanno sofferto. Questo non era silenzio rispettoso. Era indifferenza. In questa luce, non si può essere che scettici riguardo alle manifestazioni di sofferenza degli ultimi anni, dopo che l’industria dell’Olocausto è stata solidamente impiantata. (…) Uno degli amici di tutta una vita di mio padre era stato detenuto insieme a lui ad Auschwitz, un idealista di sinistra apparentemente incorruttibile che dapprincipio rifiutò i risarcimenti tedeschi dopo la guerra. Alla fine diventò uno dei direttori del museo israeliano dell’Olocausto, lo Yad Vashem. In modo riluttante e con genuina delusione, mio padre ammise infine che anche quest’uomo era stato corrotto dall’industria dell’Olocausto, adattando le sue convinzioni per il potere e il profitto. Man mano che la rappresentazione dell’Olocausto prendeva forme sempre più assurde, mia madre si compiaceva di citare (con ironia intenzionale) Henry Ford: “La storia è fandonia”. I racconti dei “sopravvissuti dell’Olocausto”, tutti detenuti nei campi di concentramento, tutti eroi della resistenza—erano una fonte speciale di amaro divertimento a casa mia. I miei genitori si sono spesso domandati perché crescessi così indignato nei confronti della falsificazione e dello sfruttamento del genocidio nazista. La risposta più ovvia è che esso è stato usato per giustificare le politiche criminali dello stato di Israele e del sostegno americano a queste politiche. Esiste anche un motivo personale. Io tengo molto alla memoria della persecuzione della mia famiglia. L’azione corrente dell’industria dell’Olocausto per estorcere denaro all’Europa nel nome delle “vittime bisognose dell’Olocausto” ha rimpicciolito la statura morale del loro martirio in quella di un casino di Montecarlo.”[36]

Forse il professor Finkelstein non si rende conto che scrivendo queste parole di condanna mette a repentaglio le fondamenta del racconto ufficiale dell’Olocausto. Le storie dei cosiddetti sopravvissuti, per usare le parole di Finkelstein, erano per i suoi genitori, che avevano una conoscenza di prima mano delle condizioni dei campi di concentramento, “una fonte speciale di amaro divertimento”, e la ripetizione dell’Olocausto “prendeva forme sempre più assurde.”

Poiché non esistono prove fattuali o documentarie su qualsiasi sterminio degli ebrei nelle camere a gas, ma solo testimoni oculari, Finkelstein, prendendosi gioco delle testimonianze, demolisce, per metterla in immagini, i pilastri sui quali poggia il tetto dell’Olocausto.

Misteriosamente, senza alcun pilastro di supporto, il tetto rimane in aria. Un miracolo! Ma bisogna credere nei miracoli se si vuole accettare la versione ufficiale di tutti gli ebrei durante la seconda guerra mondiale, poiché, se la storia è vera, le norme chimiche e fisiche in quel periodo erano state disattivate.

[1] Traduzione di Andrea Carancini. Il testo originale può essere consultato in rete
All’indirizzo: http://web.archive.org/web/20020819001644/http://www.russgranata.com/testimony-eng.html .
[2] Jean-Marie Boisdefeu, La controverse sur l’extermination des Juifs par les Allemands. Volume II: Réalités de la “Solution Finale”, Vrij Historisch Onderzoek, Berchem, 1996, p.107.
[3] Johann Neuhausler, Wie war das im KZ Dachau?, Munich, 1981, p.27.
[4] Raul Hilberg, Die Vernichtung der europaischen Juden, Frankfurt, 1997.
[5] Jean-Claude Pressac, Les crématoires d’Auschwitz, Paris, 1994.
[6] Ibid, p.2.
[7] Le Nouveau Quotidien, Lausanne, 3 Settembre 1996.
[8] Riguardo alla gerarchia delle prove vedi Manfred Kohler,Professor Dr. Ernst Nolte: Auch Holocaust-Lugen haben kurze Beine!, London, 1994, disponibile in rete all’indirizzo: www.vho.org/D/Nolte/ ; vedi anche Manfred Kohler, The Value of Testimony and Confessions Concerning the Holocaust, in Dissecting the Holocaust, Capshaw, 2000, disponibile in rete all’indirizzo: http://www.codoh.com/found/fndvalue.html .
[9] L’expertise sovietica riguardante Majdanek si trova in un archivio di Mosca (Gossudarstvenni Archiv Rossiskoj Federatsii, 7021-107-9).
[10] Vedi Jurgen Graf e Carlo Mattogno, KL Majdanek. Eine historische und technische Studie, Hastings, 1998. [Disponibile in rete in versione inglese all’indirizzo: http://vho.org/dl/ENG/ccm.pdf ].
[11] William B. Lindsay, Ziklon B, Auschwitz and the Trial of dr. Bruno Tesch, in Journal of Historical Review, Vol. 4, N°3, autunno 1983, p.261. Disponibile in rete all’indirizzo: http://www.ihr.org/jhr/v04/v04p261_Lindsey.html .
[12] L’indagine più esatta riguardante le “camere a gas” di Auschwitz è il Rapporto Rudolf (London, 1993; un’edizione ampliata e aggiornata: Hastings, 2000). [Disponibile in rete in versione inglese all’indirizzo: http://www.vho.org/GB/Books/trr/ ]. Per la camera a gas di Majdanek vedi il capitolo 6 del libro di Graf/Mattogno su Majdanek, op. cit.
[13] Vedi Jurgen Graf, What Happened to the Jews who were Deported to Auschwitz but were not Registered There?, disponibile in rete all’indirizzo: http://web.archive.org/web/20020210054037/http://www.russgranata.com/Orange-eng.html .
[14] John Ball, Air Photo Evidence, Delta/B.C. (Canada), 1992.
[15] Gossudarstvenni Archiv Rossiskoj Federatsii, 7021-108-23.
[16] Pubblicato nel 1994 da Neue Visionen, Wurenlos, Svizzera.
[17] Valentina Pisanty, L’irritante questione delle camere a gas. Logica del negazionismo, Milano, 1998, p.191.
[18] Riguardo a questo vedi ad esempio Carlo Mattogno, Il mito dello sterminio ebraico, Monfalcone, 1985 [disponibile in rete all’indirizzo: http://litek.ws/aaargh/fran/livres4/ilmito.pdf ],
oppure Jurgen Graf, Der Holocaust auf dem Prufstand, Basel, 1993 [disponibile in rete in versione francese all’indirizzo: http://litek.ws/aaargh/fran/livres/JGscan.pdf ].
[19] Carlo Mattogno, L’irritante problema delle camere a gas, ovvero: da Cappuccetto Rosso ad…Auschwitz. Risposta a Valentina Pisanty, Genova, 1998, p.164.
[20] Enrique Aynat, Estudios sobre el “Holocausto”, Valencia, 1994. [Disponibile in rete all’indirizzo: http://litek.ws/aaargh/fran/livres6/EAestu.pdf ]
[21] Per dettagli vedi Carlo Mattogno e Franco Deana, Die Krematoriumsofen von Auschwitz-Birkenau, in Ernst Gauss (editore), Grundlagen zur Zeitgeschichte, Tubingen, 1994. [Disponibile in versione inglese all’indirizzo: http://www.codoh.com/found/fndcrema.html ].
[22] Léon Poliakov, Auschwitz, Paris, 1964, p.159.
[23] Martin Broszat (editore), Kommandant in Auschwitz. Autobiographische Aufzeichnungen des Rudolf Hoss, Frankfurt, 1981, p.171.
[24] Pubblicato da Verlag Steinhausen, Frankfurt.
[25] Gosudarstvenni Archiv Rossiskoj Federatsii, 7021-108-15, p.16.
[26] Robert Faurisson, Die Zeugen der Gaskammern von Auschwitz, in: Ernst Gauss (editore), op. cit., [disponibile in versione inglese all’indirizzo: http://www.codoh.com/found/fndwitness.html ].
[27] Documento di Norimberga NI-11953.
[28] Rudolf Vrba, I cannot forgive, Toronto, 1964, p.10.
[29] Trascrizione del primo processo Zundel, Toronto, 1985, p.1244. Ringrazio il prof. Faurisson per avermi amichevolmente trasmesso questa trascrizione.
[30] Documento di Norimberga NO 3868-PS.
[31] Rupert Butler, Legions of Death, 1983, p.235.
[32] Le Erinnerungen [memorie] di Pery Broad sono riprodotte nel libro Auschwitz in den Augen der SS, Kattowitz, 1981.
[33] Riguardo ai processi contro i nazisti vedi specialmente Wilhelm Staglich, Der Auschwitz Mythos, Tubingen, 1979, [disponibile in rete all’indirizzo: http://litek.ws/aaargh/fran/livres2/Stagdeut.pdf ], come pure Manfred Kohler, in E.Gauss (editore), op. cit. (vedi la nota 8).
[34] Samuel Zylbersztain, Pamietnik Wiezna dziesieciu obozow, in: Biuletyn Zydowskiego Instytutu Historycznego, N°68, Warsaw, 1968.
[35] Journal of Historical Review, Vol.19, N°1, Gennaio/Febbraio 2000, p.51.
[36] The Guardian, 12 Giugno 2000.

 
   
 

Germania. Il 67enne Zuendel condannato al massimo della pena per odio razziale
Nega la Shoah, 5 anni di carcere

Beda Romano
FRANCOFORTE. Dal nostro corrispondente
Ernst Zuendel, un noto esponente neonazista, è stato condannato ieri da un tribunale tedesco a cinque anni di carcere per avere negato l'Olocausto. La sentenza giunge mentre il Governo federale tenta (con difficoltà) di introdurre a livello europeo norme comuni contro l'odio razziale e la negazione della Shoah.
La pena, il massimo previsto dalla legge tedesca, è stata decisa dal tribunale di Mannheim dopo un procedimento durato oltre un anno. Zuendel, 67 anni, è stato riconosciuto colpevole di istigazione all'odio razziale, apologia di reato e diffamazione.
Per molti anni, il condannato (un cittadino tedesco) ha gestito un sito internet dal Nord America e pubblicato libri dichiaratamente antisemiti e neonazisti. Arrivato in Canada a 19 anni, Zuendel è stata estradato in Germania nel 2005.
In passato, l'uomo ha pubblicato un libro dal titolo «The Hitler we loved and why» (L'Hitler che amavamo e perché). Nel volume, l'autore definisce l'ex leader nazista «un uomo dignitoso e molto pacifico». Un altro libro si intitola: «Did six million really die?» (Sono morti veramente in sei milioni?). Il riferimento è agli ebrei uccisi durante la Seconda guerra mondiale.
Durante il processo, l'imputato ha sostenuto la necessità di istituire una commissione indipendente al fine di indagare sulla veridicità dell'Olocausto e sul numero degli ebrei effettivamente uccisi durante la dittatura nazista.
La Germania - come la Francia, l'Austria e la Spagna - considera la negazione dell'Olocausto un reato.
Il caso Zuendel segue di pochi mesi la vicenda che ha visto come protagonista lo storico inglese David Irving, condannato a Vienna per aver messo in dubbio la Shoah (è stato rilasciato con la condizionale a dicembre).
In questo contesto, il Governo tedesco vorrebbe che il reato di negazione dell'Olocausto fosse fatto proprio da tutti gli Stati dell'Unione. Parlando ieri a Bruxelles, Brigitte Zypries, ministro della Giustizia, ha detto di essere «fiduciosa» su un'intesa nei prossimi mesi. La questione non è semplice: in molti Paesi, una misura di questo tipo è considerata in contrasto con la libertà di espressione.
Sempre ieri, la Corte europea di giustizia ha respinto la possibilità per le famiglie delle vittime naziste di perseguire civilmente la Germania e ottenere indennità finanziarie.
Il tribunale era stato investito dalle autorità greche che volevano capire se la disputa poteva essere regolata dalla Convenzione di Bruxelles del 1968.
Questo trattato regola le controversie internazionali in materia civile e commerciale. La Corte ha spiegato che la convenzione non può essere applicata nei casi in cui «l'autorità pubblica si manifesta nell'esercizio della potenza pubblica». Il caso riguardava le rappresaglie della Wehrmacht contro la popolazione civile greca nel 1943.
il Sole – 24 ore, 16 febbraio 2007, pag.9

 
   
 

LE LETTERE INEDITE ALL'ISTITUTO EBRAICO DI NEW YORK
Il no americano ad Anna Frank

MAURIZIO MOLINARI
CORRISPONDENTEDANEWYORK
«Non chiederei il vostro aiuto se le condizioni qui non fossero tali da obbligarmi a fare di tutto per evitare il peggio». Così scriveva Otto Frank, padre di Anna, al suo ex compagno di studi americano Nathan Straus chiedendo numi su come riuscire al più presto a rifugiarsi negli Stati Uniti. Il testo della lettera, datato aprile 1941, è da ieri in mostra per i visitatori dell'Istituto ebraico di ricerca (Yivo) di New York, riuscito nell'impresa di raccogliere e rendere pubbliche diverse dozzine di missive scritte dal padre di Anna pochi mesi prima che l'intera famiglia olandese fosse obbligata a nascondersi nel vano tentativo di evitare la deportazione da parte dei nazisti nei campi di sterminio.
La penna di Otto Frank tradisce la certezza che il peggio stava per arrivare ad Amsterdam subito dopo l'invasione dell'Olanda da parte della Werhmarcht, nel maggio del 1940. «Mi devo occupare soprattutto della sorte dei miei figli, la nostre sorte è di minore importanza» si legge in una lettera in cui si chiede come poter ottenere un visto di entrata in America o a Cuba innanzitutto per le figlie Margo ed Anna e, solo in un secondo momento, per lui, la moglie Edith e la suocera Rosa Hollander.
Fra il 30 aprile e l’11 dicembre 1941 Otto Frank scrisse a parenti, amici e alti funzionari americani spiegando che era pronto ad «ogni sacrificio» pur di riuscire a superare l'Oceano Atlantico ma in ogni occasione la risposta fu negativa. È lo stesso Otto Frank che fa riferimento agli ostacoli scrivendo in una lettera: «Mi rendo conto che sarebbe impossibile partire per tutti anche se il denaro fosse disponibile ma Edith mi chiede di andare comunque, da solo o con i bambini».
Le lettere si interrompono pochi giorni dopo l'attacco a Pearl Harbor, quando anche la Germania dichiara guerra agli Stati Uniti e la possibilità della fuga oltre Atlantico svanisce. La cronologia della storia di Anna Frank vuole che fu proprio a seguito della mancata fuga che Otto scelse di rifugiarsi con la famiglia nella soffitta di Amsterdam dove sarebbero poi rimasti per oltre due anni fino alla cattura, dovuta ad una spiata.
L'intenzione di Otto di emigrare in America risale al 1938 ma nei due anni seguenti i tentativi cessano perché, come spiega David Engel docente di Studi sull'Olocausto alla New York University, «probabilmente preferì affrontare le incertezze dell'occupazione nazista all'insicurezza di una vita da doppio rifugiato in una nuova nazione, a prescindere dalla possibilità di trovare i visti».
Il tentativo di emigrazione in extremis verso gli Stati Uniti accomuna i Frank a «migliaia di ebrei europei ed in particolare tedeschi che trovarono le porte sbarrate dalle leggi dell'epoca» osserva Richard Breitman, storico dell'American University. Il premio Nobel per la Pace, Elie Wiesel, ha dedicato numerosi scritti per imputare all'amministrazione Roosevelt la scelta di non accogliere gli ebrei in fuga dall'Europa nazista ed il museo della Shoà di Washington ricostruisce nei dettagli episodi come quello di una nave St Louis con a bordo 937 profughi ebrei salpata da Amburgo nel 1939 e respinta di fronte alle coste della Florida.
Anna Frank morì di tifo nel campo di sterminio di Bergen-Belsen nel 1945 ed il suo diario venne pubblicato dal padre in Olanda nel 1947 divenendo un best seller mondiale con oltre 75 milioni di copie vendute.
La stampa, 15 febbraio 2007, pag.17