Corradino di Svevia. L'ultimo ghibellino |
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Antonio Parlato | ||||
Adda Editore, pagg.192, Euro 12,00 | ||||
IL LIBRO – Questo saggio ripercorre la mitica "avventura" di Corradino di Svevia che, lasciata la Germania, scende in Italia per riconquistare il regno usurpato da Carlo d'Angiò, dopo la vittoriosa battaglia di Benevento e la morte sul campo di Manfredi.L’autore segue il giovanissimo principe svevo dalla partenza sino alla sua tragica decapitazione a Napoli, e ne racconta la vicenda umana e politica ed il mito nazionale e popolare, anche nella storia e nella letteratura, definendo Corradino come “l’ultimo ghibellino” che, dopo Federico II, Manfredi e Corrado IV, combatté in nome dei valori e dello Stato nazionale e laico e sino alla morte contro l’Angiò ed il Papato che intendevano che la Chiesa detenesse insieme “la spada ed il pastorale”. L’autore si sofferma altresì sui successori della eredità sveva simbolicamente rappresentata da quel guanto di sfida che Corradino, secondo la leggenda, lanciò alla folla che attorniava il patibolo e che fu raccolto da Giovanni da Procida, che animò la restaurazione da parte di Costanza, figlia di Manfredi, andata in sposa a Pietro d’Aragona, con la rivolta antiangioina dei Vespri Siciliani.
DAL TESTO – “Aveva lasciato Foggia ai primi di dicembre, recandosi a caccia, una delle sue passioni. Quella stessa che gli aveva giocato un brutto scherzo quando, allontanatosi da Vittoria, la città in legno e pietra che aveva innalzato non lontano dalle mura di Parma da lui posta sotto assedio, aveva dovuto rientrare. Precipitosamente ed inutilmente. Perché i parmensi avevano profittato della sua assenza, portando via anche il tesoro imperiale con la corona e l’originale, sembra, del suo splendido libro minato, “De arte venandi cum avibus” che aveva dedicato a suo figlio Manfredi. Si era ripreso nel tempo da quell’orribile sconfitta. Ed ora gli si schiudevano nuovi orizzonti politici: forse un viaggio in Germania dove regnava suo figlio Corrado, forse una spedizione militare a Lione, la città dove sedeva il Papa, Innocenzo IV, che l’aveva scomunicato nella continuità del secolare conflitto tra Chiesa ed Impero sulla detenzione e l’esercizio del potere temporale rivendicato da parte di entrambi. Una leggenda disse poi che Federico era solo scomparso alla vista di quanti lo accompagnavano, adoperando l’anello regalatogli dal mitico Prete Gianni che rendeva invisibili. Fu solo una delle tantissime leggende che nacquero dopo la fine di Federico. Era allora a caccia nelle campagne che si stendono al di sotto della città turrita di Lucera, tra Torremaggiore e San Severo. Ed è per questo che quando si sentì male, lo portarono subito lì vicino, a Castel Fiorentino, un piccolo borgo dominato da un castello, alto su una collina. Oggi è divenuto difficile individuare questa località: non c’è una indicazione stradale tra le vie ed i viottoli di campagna che intrecciano rari casolari. Poi intuisci, più che vederlo, il castello dai ruderi delle mura che spezzano le onde verdi dei campi e dei rilievi. E sali su, lungo la spirale di una stradina pietrosa che avvolge la collina”. |