Vietnam. Una sporca bugia
Neil Sheehan
Piemme, pagg.635, Euro 22,00
 

Questo saggio di Neil Sheehan (già corrispondente di guerra per la United Press International e per il "New York Times") è unanimemente considerato uno dei più bei libri che siano stati scritti sulla guerra del Vietnam.
Vi si narra la storia di John Paul Vann, un consigliere militare che raggiunge il Vietnam nel 1962. Vann è figlio di un'America ancora inebriata dalla vittoria nel secondo conflitto mondiale, un figlio indesiderato e illegittimo, con alle spalle un'infanzia terribile. "Il suo credo politico - scrive l'Autore - riassumeva le convinzioni di un'America uscita dalla seconda guerra mondiale come prima potenza planetaria. Secondo Vann, gli altri popoli erano inferiori ed era nell'ordine naturale delle cose che accettassero la guida americana. Non pensava che l'America esercitasse il suo potere per puro egoismo. Gli Stati Uniti erano una potenza severa ma magnanima, che imponeva la pace e portava prosperità ai popoli delle nazioni non comuniste, condividendo l'abbondanza delle proprie risorse con quelli a cui la povertà, l'ingiustizia e il malgoverno avevano negato la possibilità di una vita felice. La causa dell'America era sempre giusta, le intenzioni erano sempre onorevoli. Il suo anticomunismo era semplicistico: tutti i comunisti erano nemici del suo Paese, e quindi dell'ordine e del progresso".
Sbarcato a Saigon, Vann si rende conto che le forze sudvietnamite sono demotivate e mal addestrate. Ma soprattutto, resta sconvolto da una realtà fatta di stragi e torture, che rischia di far precipitare gli Stati Uniti nel pantano di un conflitto sporco, corrotto, ingovernabile. Comprende che la sistematica tortura dei contadini e i bombardamenti terroristici che mietono innumerevoli vittime fra i civili, non potranno che portare la popolazione a mobilitarsi in favore dei vietcong.
In Vietnam, "Le perdite civili - scrive ancora Sheehan - quasi tutte vittime del "fuoco amico", ammontavano, secondo le stime più caute, a 25.000 l'anno, una media di sessantotto uomini, donne e bambini al giorno. E circa 50.000 civili all'anno venivano gravemente feriti. I villaggi abbandonati e le risaie incolte stavano diventando uno spettacolo comune nelle campagne".
Quanto ai bombardamenti, Sheehan scrive: "A fine 1966, le sortite erano salite a quattrocento al giorno, e considerando anche i B-52, 825 tonnellate di bombe e altre munizioni aeree cadevano quotidianamente su un Paese grande come lo Stato di Washington. Dal finestrino di un aereo o dal portello aperto di un elicottero potevamo vedere in tutte le direzioni il bel paesaggio vietnamita sfigurato dai crateri delle bombe".
Il grido di allarme di Vann, però, rimane inascoltato. Egli vedrà sfociare il conflitto, anno dopo anno, in una violenta crisi all'interno del suo Paese. Vedrà arruolare soldati sempre più giovani, e accumularsi perdite umane enormi e inutili. Vedrà cadere, una dopo l'altra, le illusioni di più di una generazione. Su tutte il credo assoluto nel ruolo dell'America nel mondo, la fede cieca nel destino invincibile della nazione.
La storia e le contraddizioni di John Paul Vann diventano il simbolo dell'avventura americana in Vietnam, il racconto più lucido sulla "sporca guerra", e una chiave di lettura illuminante per comprendere la politica dell'America di ieri e di oggi.